Avendo comunque
coscienza che stavo dormendo, ho fatto un sogno talmente realistico da avere
paura che il mio risveglio ne neutralizzasse ogni esperienza acquisita. Infine,
com’era del tutto inevitabile, la giornata ordinaria ha preso come sempre il
sopravvento sul resto, e così mi sono fatto la barba, mi sono vestito, e come
ogni mattina sono uscito da casa. Prima di andare ad infilarmi nell’ufficio
dove lavoro da ben dodici anni, mi sono fermato in un caffè, ho preso un
cornetto, un cappuccino, e mi sono seduto a sfogliare un giornale a
disposizione dei clienti.
Nelle pagine centrali
si parlava di qualcosa che mi è parso estremamente interessante: si trattava di
una persona che era riuscita ad annotare tutti i sogni fatti nell’arco di anni,
tanto da costituire uno scaffale pieno di quaderni con le storie vissute
soltanto con la mente nell’attimo stesso del suo riposo. L’articolo sosteneva
che questa persona, rileggendo in seguito il materiale che giorno per giorno
aveva accumulato, ad un tratto si era accorta che c’era un senso preciso che
animava quei sogni, quasi un filo rosso che legava tutte quelle storie e quelle
parole, tanto da spingerla a trarne un libro completo, voluminoso, quasi un ciclo
di romanzi.
Mi è parso subito un
incoraggiamento alla vita quell’articolo, come se tutto fosse sempre possibile,
anche nel momento di intimità massima come dormire. Ho tardato ancora prima di
andare a rinchiudermi nel mio ufficio, ho pensato a lungo agli aspetti che
poteva delineare un’esperienza del genere. Ho guardato la strada fuori dai
vetri, ho seguito con lo sguardo qualche passante di fretta che inseguiva
qualcosa; mi sono soffermato a mettere fuori fuoco le immagini che giungevano
via via davanti ai miei occhi, e ad estraniarmi almeno in parte dal luogo pubblico
dove restavo ancora seduto. Il cameriere mi ha toccato una spalla: sta bene?,
mi ha chiesto, io gli ho sorriso e mi sono alzato dal tavolino.
L’aria fredda della
mattina sembrava adesso soltanto un ricordo lontano di qualcosa che all’inizio appariva
forse piacevole, ma che dopo pochi minuti era già un’altra cosa: la
consapevolezza della forza che si poteva avere dentro se stessi pareva
spingermi lontano da tutto, come se non fossi più una vera parte dell’intero
ingranaggio già in movimento. Ero vicino all’edificio dove mi recavo per il mio
lavoro, ma nella realtà mi sentivo lontano da lì, proiettato dietro a pensieri
che non avevo mai fatto, come se la mia mente in autonomia avesse preso il
controllo completo delle scelte da fare.
Con lentezza
estenuante mi avvicinavo al palazzo di uffici, cosciente di essere già in forte
ritardo: un’indifferenza completa continuava a determinare i miei movimenti; le
persone attorno si muovevano con rapidità, le auto, i mezzi pubblici, tutto
quanto era proiettato in un vortice che non faceva più parte di me, come mi
fossi sganciato da tutto, e all’improvviso sentissi una forte lontananza da ciò
che ero stato, e che di fatto avrei dovuto essere ancora.
Gli ultimi passi
prima di arrivare al lavoro si facevano sempre più estenuanti, gettandomi in un
torpore colmo di disagio, quasi la ricerca faticosa di resistere prima di
tornare ad essere l’uomo di sempre. Forse, d’improvviso, avrei voluto addirittura
recuperare del tempo, magari mettermi a correre, ma pareva impossibile, come se
le mie gambe non fossero adatte ad una sfida del genere. Infine ho avvertito
vicinissimo un suono elettronico che continuava a trillare, e così, di
soprassalto, mi sono svegliato davvero.
Bruno Magnolfi
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