venerdì 29 novembre 2013

Consuetudini.

            

Con il responsabile tecnico dell'impresa ci siamo incontrati dentro al suo ufficio, come pattuito per telefono; poche parole di circostanza e siamo subito andati ad effettuare il sopralluogo per mettere a fuoco qualche dettaglio sulle operazioni che servono alla sua azienda. Più tardi, come proforma, abbiamo firmato un preliminare scarsamente impegnativo per ambedue, ma domani torneremo ad incontrarci in presenza del suo diretto superiore, di fatto per definire gli strumenti in base ai quali avrò il mandato nei prossimi giorni per redigere in esclusiva il preventivo di spesa riguardo ai lavori richiesti alla mia azienda.
La mia camera d'albergo, in questa zona quasi interamente industriale, è talmente anonima che mi sento fortemente a disagio, e vorrei subito scappare da questa periferia, almeno per farmene un giro per la città, anche se purtroppo questa sera devo sistemare i miei appunti frettolosi, e almeno definire un piano ed una relazione sul mio pc portatile, a cui probabilmente allegherò tutte le fotografie scattate durante il pomeriggio.
Dovrei telefonare a mia moglie, prima di cena, rassicurarla, magari scambiare con lei qualche frase usuale, ma all'improvviso, mentre ci penso, mi sembra tutto falso, e non sono più neppure sicuro di riuscire a tirar fuori le parole giuste. Domani mattina riceverò una chiamata dal mio capotecnico, mi chiederà qualche dettaglio sui preparativi, dovrò utilizzare tutta la mia arte diplomatica per fargli capire che me la sto cavando bene, che tutto è sotto controllo, e che la nostra impresa è in buone mani. Più tardi cenerò tristemente da solo nel ristorante dell'albergo, cercherò di convincermi ancora di più che in fondo tutto sta andando perfettamente bene, e che questo è il mio lavoro, che porto avanti la mia vita come sempre, e soprattutto non c'è proprio motivo per doversi preoccupare.
Forse però qualcosa non sta andando nella maniera che vorrei, penso con maggiore profondità; magari ho bisogno di svagarmi, di pensare ad altro che non siano queste solite cose usuali per risolvere i miei piccoli problemi. La verità è che ho voglia di fuggire, anche se ho paura persino di pensarlo, anche se so benissimo non farò mai una cosa così sciocca. Sto dentro al sistema, devo andare avanti senza scoraggiarmi, mi ripeto, essere contento di ciò che riesco a fare, trovare le ragioni migliori per proseguire ad essere me stesso.
Già, me stesso; chissà cosa potrei mai fare per tirare fuori veramente qualcosa di me: inventarmi una pazzia, far perdere a tutti le mie tracce, dare in escandescenze in un locale pubblico, oppure ridere in faccia al titolare dell'azienda. Mi convinco che le cose sono quelle che volevo, ciò che forse ho sempre sognato: faccio una doccia, mi cambio per la cena, controllo le annotazioni stese. La mia auto aziendale nel parcheggio dell'albergo aspetta solo me, ceno velocemente, poi scendo e ne avvio il motore. Andarmene, ecco quanto dovrei fare, continuo a ripetermi. Accendo la radio, ascolto una canzone, penso a quando ero bambino e all'improvviso non mi sembra più di provare alcun malessere. Spengo il motore, torno in camera: devo andarmene a dormire, penso, domani sarà una giornata lunga, tra un attimo sarà il fine settimana, dovrò essere contento di tutto ciò che son riuscito a fare. Spengo la luce: non ho telefonato a mia moglie; accidenti, penso, domani mattina sarà la prima cosa di cui dovrò occuparmi.


Bruno Magnolfi

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