lunedì 4 novembre 2013

Senza storia.

            

Sto dietro con noncuranza a questo microfono gracchiante, come se da solo riuscisse a coprire la mia espressione vagamente divertita e potesse lasciarmi libero di pensare ciò che voglio. Fingo di leggere qualcosa di queste carte che ho tirato fuori dalla tasca e che adesso spiego tra le mani, ma prendo solamente tempo, infilo appena delle pause tra queste parole, quasi nell'attesa che mi sovvenga l'idea portante per tirare avanti questa specie di lettura, dentro ad un locale dove mi dicono avvengono quasi ogni sera cose come queste. Non ci sono molti curiosi ad ascoltarmi, anzi, decisamente sono pochi, ma che importa, l'importante è stare qui, proseguire a snocciolare queste sillabe, ad arrotondare le vocali, soffermarmi sopra delle espressioni vagamente musicali, attrarre in qualche modo l'attenzione. Sono abituati qua dentro, sanno perfettamente cosa avviene da questa parte del microfono, non staranno a preoccuparsi se non c’è una vera storia.
Ad essere sincero non avrei neppure niente da dire, spero soltanto che nessuno  tra coloro che proseguono a seguire i miei discorsi ne sia troppo cosciente. Vado avanti, tiro fuori le parole, in fondo non mi costano un bel nulla, e fingo impegno, sentimenti, ispirazione, anche se in realtà non avrei neppure troppa voglia di starmene qui ad improvvisare questa improbabile letteratura. Il punto è che tutto ormai è già stato detto, ne sono più che sicuro, e oramai non si riesce a trovare più niente di nuovo. Per rovescio, qualsiasi cosa possa dire, sono convinto che non cambierà la sorte di questa specie di lettura sgangherata.
Applaudirà, ne sono più che sicuro, questo manipolo di sciocchi, qualsiasi cosa io sia riuscito a dire durante questa mia improvvisazione, nonostante sicuramente quasi nessuno sia stato a cercare di riflettere sulle mie parole. Vado avanti, ormai non posso fare altro, continuo a liberarmi di qualcosa che non è neppure scritto sopra questi fogli. Il mio parlare nel microfono mi pare quasi un semplice rimando di due specchi dalle facce opposte, nei riflessi dei quali riesco facilmente a nascondermi da tutto: è addirittura divertente svelare qualcosa che riesco a fare falsificando tranquillamente ciò che sembra. I miei racconti durano poco, ho detto subito all’inizio: adesso non so se ho fatto bene o se al contrario qualcuno se ne è già risentito. Io fingo impegno, loro fingono attenzione, in fondo pare tutta una grande pagliacciata.
Poi mi fermo, vorrei non dover arrivare alla fine troppo in fretta, così giro i miei fogli, cerco qualcosa che non trovo, e qualcuno sembra spazientirsi, di fatto non so più che cosa dire e non vorrei proprio che qualcuno lo pensasse, così invento la storia di uno che scrive dei racconti e va a leggerli in ogni luogo dove persone ben disposte possano regalargli una minima attenzione. Qualcuno tossisce tra queste due o tre file di sedie; se almeno ci fosse un po’ di musica a fare da sottofondo sarebbe stato tutto più semplificato, penso. Il mio personaggio è credibile, leggo sopra le facce di tutta questa gente, forse questa storia appare addirittura autobiografica, e questo provoca probabilmente un minimo di interesse in più.
Infine mi interrompo, tutti hanno compreso cosa volevo dire, non ha importanza andare ancora avanti, così dico semplicemente che è finito, è quasi finito, non si devono affatto preoccupare, adesso smetto, non ci sono più parole sopra al foglio, ciò che c’era da leggere è volato, è passato tutto dal microfono, dalle loro orecchie, in mezzo ai pensieri e alle preoccupazioni. Ecco, è finito, ora ho proprio smesso; basta.

Bruno Magnolfi


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