Giro per strada come sempre, cercando con gli occhi qualcosa che non sono
mai riuscito a mettere a fuoco, sapendo però perfettamente che si trova qui, da
qualche parte, magari proprio davanti a me, forse semplicemente spalmato sulle
facce delle persone che mi passano davanti. Mi soffermo davanti ad un locale
dove entrano ed escono un bel numero di loro: gente comune, cittadini ordinari,
niente di speciale, e qualcuno di questi parla a voce alta, altri ridono di
qualche parola che scambiano con le conoscenze con cui si accompagnano. Vorrei
essere così, penso, proprio come loro, divertito di queste giornate monotone e
insignificanti che si susseguono nella completa indifferenza, piuttosto che
sentirmi sempre inadeguato così come mi sento. Osservo tutti, so che ognuno di
loro ha qualcosa da insegnare agli altri, ed io cerco semplicemente di capire quale comportamento
potrei tenere per farmi raccontare da qualcuno, tra tutti questi, ciò che più
di altro gli preme di spiegare.
Sono convinto che dentro ciascuno ci siano delle parole mai pronunciate,
pensieri mai esternati, piccoli elementi che ristagnano con normalità dentro a
questi organismi costantemente in piena azione, perfettamente in efficienza,
come si richiede oggi ad ognuno di loro, e che solo quando tutti quanti riescono
a soffermarsi ed a prendersi un attimo di tempo, riescono ad uscire da quel
chiuso in cui sono stati relegati.
Infine entro nel locale e mi siedo davanti ad un tavolo libero, il
cameriere mi porta un caffè mentre sfoglio il quotidiano che ho trovato sopra
al piano. Una donna mi chiede se abbia bisogno di un po' di compagnia, ed io la
invito a prendersi un caffè al mio tavolo. Dice che non è soddisfatta della
vita che fa, però sa accontentarsi, e poi al giorno d'oggi, aggiunge, non si
può chiedere troppo. Annuisco, mi pare una ragazza come tutte, vuota di interessi,
però sicuramente una che riesce a dire le cose effettivamente come stanno. La
lascio parlare delle sue cose senza interromperla, e lei si lamenta di parecchi
aspetti della sua giornata, anche se dice tutto in maniera un po’ annoiata,
quasi come per seguire l’abitudine, fino a quando non resta per qualche attimo
in silenzio.
Allora le faccio qualche domanda, ma lei sembra non gradirle, e ad un
tratto, senza spiegazioni, dice grazie, si alza e si allontana, stufa forse di
me e dei miei comportamenti. Vorrei fermarla, dire che in fondo mi dispiace, che
non volevo apparirle inopportuno, insistente, ficcanaso, ma poi penso che non
mi pare neppure lecito cercare di giustificarmi solo per essere stato un po'
curioso, e così la lascio perdere, anzi le dico a voce alta, mentre esce da là
dentro, che probabilmente dovrebbe vergognarsi, e che un'altra persona come me
non la ritrova facilmente. Si avvicina il proprietario del locale e mi spiega come
sia meglio che adesso me ne vada, perché là dentro, dice, ho già fatto
sufficiente confusione, così torno sulla strada, riprendo ad osservare le facce
e le espressioni che continuano a passare, poi decido improvvisamente di
tornare a casa, percorrendo di fretta un lungo tratto di marciapiede senza
neppure guardarmi attorno: tanto stasera, penso, non mi pare ci sia in giro molto
di interessante di cui occuparsi.
Bruno Magnolfi
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