In fondo, a pensarci bene, in condizioni normali non me
ne interesserebbe nulla di questa periferia squalificata, senza neppure un
elemento di valore o qualche cosa in qualche modo da apprezzare. Però cerco
delle volte di mettermi nei panni di chi vive qui, da queste parti, e vede ogni
giorno i palazzoni insensati, i fazzoletti di terra lasciati a sé, le strade
con le buche, e i margini pieni di rovi e di immondizia. Sono venuto a
controllare questo cantiere abbandonato tra le case, a vedere cosa avrebbero
potuto diventare queste armature rimaste affogate per metà dentro al cemento e
il resto in aria, quasi per formare un monumento ai potenti e all'indifferenza
di chi abita questo quartiere, e lascia che tutto vada avanti in qualche modo,
senza neppure provare a ribellarsi: magari solo perché non ne ha neppure più la
forza. Mi sono seduto su questa specie di gradino polveroso e sono rimasto qui,
a riflettere qualcosa che continua però come a sfuggirmi, fino a quando
qualcuno è arrivato alle mie spalle, si è soffermato ad osservarmi, mi ha
guardato dritto per un momento o poco più, e poi è sparito.
Forse
c’è una baracca abitata là dietro, ho pensato; forse sono troppo ben vestito
per non attirare l’attenzione di qualche poveraccio che frequenta questi
luoghi. Ma non mi sono mosso, ho lasciato che si prendesse coscienza che forse
c’è ancora in giro qualche cittadino che si interessa di luoghi come questo. Ed
è trascorso in questo modo un po’ di tempo, fino a quando ho sentito
bisbigliare intorno a me, da qualche parte, e poi sono saltati fuori due
ragazzoni dai capelli neri, mani in tasca e sguardo fermo, che si sono
avvicinati e mi hanno chiesto senza altre parole se ero io l’uomo del cantiere.
Ho fatto cenno di si con la testa, senza neppure pensare troppo a quella frase
o a ciò che avrebbe significato questa mia risposta, e quei due si sono subito
allontanati di qualche passo. Poi sono tornati verso di me, ed uno dei due mi
ha detto che c’era una persona poco lontano che forse voleva conoscermi, parlare
con me, e insomma che dovevo seguirli, spiegando questa cosa come se
praticamente non avessi alcuna scelta.
Mi sono sollevato dal gradino e sono andato con loro
quasi con naturalezza, passando in silenzio tra delle attrezzature rugginose
mescolate ai cespugli e a tanta erbaccia sudicia, costeggiando due o tre
rimesse sventrate e ormai inservibili. La terra là dietro appariva violata,
grigia, imbevuta di polveri e di minutaglie di legno e ferro. Alla fine c’era un
uomo che mi ha guardato rimanendo fermo avanti a me, mentre gli altri sono
subito scomparsi. Ho pensato che ci doveva essere un mondo parallelo da qualche
parte, e mi sentivo improvvisamente quasi orgoglioso di poterne come assaporare
un pezzettino. Prima di qualsiasi altra cosa ho detto a voce bassa ma ferma che
mi dispiaceva essere entrato in una realtà di cui non avevo la minima idea, e
che se recavo disturbo senz’altro me ne sarei potuto andare subito, senza alcun
indugio. L'altro intanto si era acceso in silenzio una lunga sigaretta, poi mi
aveva guardato ancora, e infine aveva detto: in questo cantiere deve riprendere
il lavoro, le operazioni devono andare avanti, devono giungere ad una conclusione.
Ma io non sono la persona che può decidere una cosa come
questa, avevo risposto. Non ha importanza, aveva insistito l’altro: adesso tu
devi andare, e dire a chi può fare qualcosa che il cantiere deve ripartire, noi
non possiamo più aspettare. Avevo annuito, incapace di rispondere ancora qualcosa,
e infine l’altro aveva fatto cenno che con ciò potevo ritornare indietro. Mi
ero voltato perciò, ma infine, fermandomi per un attimo, avevo solo detto:
d’accordo, farò sicuramente del mio meglio.
Bruno Magnolfi
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