lunedì 25 novembre 2013

Fantasmi comuni.

            
            Per lungo tempo lei continuava a toccare le punte dei suoi stessi capelli, guardando nel vuoto che aveva in genere davanti a sé. Poi smetteva, si interessava di qualcosa, magari si muoveva sopra la sua sedia, e infine ricominciava, proprio come prima. L’inserviente spesso la guardava senza insistenza, però si vedeva che ne subiva la fascinazione, quasi fosse innamorato, anche se forse semplicemente continuava solo a chiedersi come fosse possibile che una ragazza bella come lei fosse finita là dentro, senza le capacità per godersi la vita, per sentirsi almeno come tutti, amare e lasciarsi amare come sarebbe stato giusto, almeno secondo lui.
            Ci teneva molto ai suoi lunghi capelli, se li curava e pettinava infinite volte con la spazzola che aveva sempre con sé durante tutta la giornata, ma ad un certo punto se li lasciava legare per andarsene a letto, proprio nello stesso momento in cui gli infermieri le davano anche la sua medicina per riuscire a dormire. Normalmente pareva quasi indifferente agli altri, ma secondo lui era soltanto un’apparenza: era sufficiente dirle che aveva dei magnifici capelli per vederla distogliere lo sguardo da quel niente da cui sembrava perennemente attratta, e notare sul suo viso una smorfia che era quasi un sorriso, come se a lei fosse sufficiente una semplice parola come quella per tirare avanti. Forse nella sua mente c'era davvero quel niente che dicevano i medici, ma lui sembrava proprio non crederci, e spesso tornava a guardarla di nascosto, mentre lei lasciava trascorrere le giornate restando seduta con indifferenza.
Un giorno non c'era: la visita dal medico, dallo specialista, oppure qualche problema di un altro ordine, aveva pensato l’inserviente: ed anche il giorno dopo la sua sedia nella saletta principale era rimasta vuota, e così per altro tempo, fino a quando però era ricomparsa, all'improvviso, l’espressione di sempre, la stessa aria, ma con i capelli ormai tagliati corti, a spazzola, prova evidente di un tracollo profondo che doveva sicuramente essere intervenuto. Lui l'aveva osservata a lungo, le si era anche avvicinato, forse per dirle qualcosa, magari per vedere se c'era stata una qualche reazione importante al nuovo stato di cose, ma lei era rimasta immobile, indifferente com'era sempre stata. Lui le aveva sfiorato i capelli, lei lo aveva lasciato fare, come fosse una cosa permessa in momenti del genere.
Quando l’inserviente si era allontanato per riprendere i suoi compiti lei era rimasta ancora lì, nella stessa maniera,  fino a quando però aveva voltato gli occhi, come a cercare qualcosa, quasi le mancasse un elemento importante: forse addirittura quella stessa carezza che lui le aveva lasciato su quel che restava dei suoi capelli. In seguito era tornato da lei, le aveva accarezzato di nuovo la nuca, lei aveva chiuso i suoi occhi, ma giusto un momento, senza fare alcuna altra mossa; lui aveva sorriso, lei forse si era sentita apprezzata.
Questo fu lo scambio che iniziarono a darsi quasi ogni giorno, tutte le volte che ce n’era la possibilità, fino a quando lei un giorno si volse, lo guardò per un attimo, socchiuse la bocca e infine sorrise, come un regalo quasi ineguagliabile, almeno per un inserviente.


Bruno Magnolfi

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