Quando qualcuno
nomina Anna Calmassi, almeno nel nostro ambiente, non ci si può proprio esimere
dall’apprezzamento che si conviene nei confronti di una donna del genere. La
sua capacità di aver sempre coniugato così bene razionalità e sentimento nel
proprio campo è tale da lasciare tutti più che convinti delle sue doti e della
sua bravura. Lei quando trova il tempo di giungere fin qui per spiegarci le sue
ultime fatiche, lo fa sempre con una particolare attitudine, non dimenticando
mai almeno in parte di schernirsi e di mostrare quasi una deliziosa vena di
timidezza. Qualcuno poi, quando si apre alle domande, non evita mai di chiedere
come Anna riesca ad essere così remissiva e contemporaneamente grande in quello
che fa, ma lei evita sempre questi argomenti, preferendo parlare della sua
attività più concreta, dando più volentieri un certo seguito a chi le chiede
dettagli ben precisi di alcuni dei suoi lavori.
Sorride, Anna, parla
a lungo con la sua voce calma, porta sempre a conclusione ogni argomento,
infine ringrazia tutti, abbandona il microfono, stringe la mano a molti tra gli
intervenuti, indossa il suo impermeabile e poi lascia la sala. Sale su un’auto
che è venuta apposta per prenderla, fa una telefonata e subito dopo cerca di
rilassarsi. Si sente nervosa, questi incontri le stanno pesando sempre di più,
le domande della gente si mostrano insidiose, qualcuno poi trova sempre il modo
di rivolgersi a lei in maniera estremamente insopportabile, almeno alle sue
orecchie.
Giunge nel suo
appartamento, abbandona su una sedia la grossa cartella zeppa di tante
cartacce, toglie il soprabito, gli orecchini, la collana vistosa, e infine si
siede, stanca e stufa di tutto. Gli organizzatori l’hanno pure invitata a cena
per quella serata, e lei naturalmente non ha potuto dire di no, quindi dovrà
cambiarsi d'abito e ripetere di nuovo tutta la insopportabile pantomima della
donna perfetta, ed Anna, almeno in questo momento, non sa proprio come riuscirà
a ritrovare di nuovo la forza per apparire come tutti desiderano che sia.
Lui arriva poco dopo,
entra con la sua chiave, la stringe un attimo a sé senza parlare, la bacia sul
collo con apparente trasporto, poi le prepara qualcosa da bere. Anna, dice con
calma; sei sicura di farcela da sola a reggere la tensione dei nuovi saluti,
apprezzamenti, lusinghe, e altri aggettivi sparsi? Lei lo osserva almeno un
attimo, poi sbatte il bicchiere per terra, mandandolo in mille frantumi. Sono
nauseata da tutto, dice con rabbia, anche da te che fai il cascamorto con la
prima che ti capita a tiro, e non dire di no che tanto ho i miei informatori.
Voglio indossare sopra la faccia una maschera della vera me stessa,
trasformarmi almeno per un periodo nella persona che sono davvero, e smetterla
con questa costruzione intollerabile di donna perfetta. Voglio andarmene, questo
è il punto, fuggire da qui, ritrovare alcuni di quei valori che valgono almeno
la pena di essere presi in considerazione. L'uomo, da tempo abituato a quegli
sfoghi, naturalmente resta in silenzio.
Poi Anna si sdraia,
lui le prende la mano, ma lei lo allontana: preparami la doccia, gli dice, e
lui esegue prontamente quanto richiesto. Anna, dice lui dall’altra stanza, e
lei si mette le mani sopra le orecchie per non sentire ancora quel nome che
tutti ogni giorno le ripetono intorno, come un passaporto da persona perfetta.
Infine accende la televisione, gira subito su un programma dove probabilmente
si potrebbe parlare di lei, ma adesso stanno solo trasmettendo delle pubblicità.
Spegne, getta in malo modo il telecomando sopra un divano, toglie la gonna, si
guarda un momento nel riflesso di in un grande specchio che troneggia su una
parete di quella sala, e poi fa una smorfia. Strizza gli occhi, si accarezza la
pelle, si liscia con la mano i capelli, poi dice sottovoce alla sua immagine:
ti odio, non era certo cosi che ti avrei voluto.
Bruno Magnolfi