Non mi interessa
affatto che i miei familiari praticamente mi abbiano reclusa poco per volta in
questa stanza; anzi, in qualche modo sono loro grata di avermi ridonato la
ricchezza della solitudine. Sono vecchia, ho le mie idee, probabilmente davo
noia con i miei modi lenti, e forse tiravo fuori la mia opinione proprio quando
non dovevo. Adesso invece me ne sto qui per tutta la giornata, penso le mie
cose, certe volte mi assopisco sulla sedia accanto alla finestra, mentre guardo
qualcuno che scorrazza per la strada. Stasera poi mi hanno portato una minestra
di semolino, del pane, e anche qualche altra cosa; ho detto grazie, è anche
troppo per me, ho pensato. Ma non c’è niente di male in tutto questo, ognuno
deve fare la sua vita, ed io non ci tengo davvero a girare senza meta per le
altre stanze di questo appartamento, per poi rifinire insieme a tutti gli altri
a guardare qualche programma strampalato che trasmette la televisione, tanto
più che ciò di cui è composta questa mia stanzetta per me è già più che
sufficiente.
Posseggo anche
diversi libri qui dentro, che naturalmente ho già letto ormai diverse volte, ma
che adesso, come per gioco, mi diverto semplicemente ad aprire, prendendo qualche
pagina un po’ a caso, ed a ripassarne così almeno una o due, come se fossero
completamente scisse da tutto il resto. Scopro in questo modo che ci sono frasi
e intere pagine che non dicono un bel niente, servono soltanto da riempimento,
ed altre che ad essere del tutto generosi sono appena un po’ significative; ma poi
ce ne sono alcune che invece spiccano su tutte le altre, e che in un attimo riescono
meravigliosamente ad essere il semplice condensato di un intero libro, quasi vanificando
così l’importanza pretenziosa di tutto il resto.
Non ho molte cose di
cui occuparmi, questo è evidente, così ogni tanto immagino che mi ammalerò di
qualcosa, un giorno o l’altro, e che poi verrà un dottore, forse anche
un’infermiera silenziosa con le scarpe dalla suola di gomma, ad occuparsi di me
per un giorno, o per qualche tempo; ma forse, se la situazione sarà
particolarmente grave, mi porteranno in fretta dentro un ospedale, da cui sono
già preparata a non uscire facilmente con i miei stessi piedi. Toglierò
definitivamente il disturbo, prima o dopo, come spesso si dice.
Ma poi torno ad
avvicinarmi alla mia finestra, mi piazzo lì seduta e guardo la vita che passa lungo
questa strada. Ci sono state delle volte che qualcuno mi ha notato dietro ai
vetri e mi ha fatto un timido cenno di saluto, così, forse tanto per fare. Un
ragazzo invece mi ha guardato a lungo, chissà che cosa ha visto, forse una
somiglianza con sua nonna; così gli ho sorriso, senza esagerare, ma lui è
scappato subito. Però dopo è tornato, mi ha guardato ancora mentre io cercavo
di ignorarlo, e poi mi ha fatto una fotografia con il suo telefonino. Così mi
sono alzata dalla sedia, sono andata a prendere uno dei miei libri e poi l’ho
aperto, ma subito ne ho cercato un altro, ed in seguito un altro ancora. Avrei
voluto tanto improvvisamente che là dentro quelle pagine ci fosse stato spiegato
con chiarezza qualcosa di questa fase così contemporanea, dove tutti vogliono
guardare e vedere senza anche provare allo stesso tempo il bisogno di
comprendere, però non ho trovato niente.
Perciò ho lasciato
perdere, anche se con una certa vanità ho cercato mentalmente di seguire il
percorso che immagino possa aver fatto il mio ritratto di vecchia alla finestra.
Non sono riuscita a pensarne niente di buono, a dire la verità, anche se vorrei
essere sempre positiva. In ogni caso non ha alcuna importanza: tutto questo non
cambierà un bel niente, ho pensato; e soprattutto non porterà mai alcun rumore nuovo
in questa stanza, che oramai ogni giorno mi appare sempre più ovattata.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento