venerdì 18 marzo 2016

Scarpe dalla suola di gomma.

            

            Non mi interessa affatto che i miei familiari praticamente mi abbiano reclusa poco per volta in questa stanza; anzi, in qualche modo sono loro grata di avermi ridonato la ricchezza della solitudine. Sono vecchia, ho le mie idee, probabilmente davo noia con i miei modi lenti, e forse tiravo fuori la mia opinione proprio quando non dovevo. Adesso invece me ne sto qui per tutta la giornata, penso le mie cose, certe volte mi assopisco sulla sedia accanto alla finestra, mentre guardo qualcuno che scorrazza per la strada. Stasera poi mi hanno portato una minestra di semolino, del pane, e anche qualche altra cosa; ho detto grazie, è anche troppo per me, ho pensato. Ma non c’è niente di male in tutto questo, ognuno deve fare la sua vita, ed io non ci tengo davvero a girare senza meta per le altre stanze di questo appartamento, per poi rifinire insieme a tutti gli altri a guardare qualche programma strampalato che trasmette la televisione, tanto più che ciò di cui è composta questa mia stanzetta per me è già più che sufficiente.
            Posseggo anche diversi libri qui dentro, che naturalmente ho già letto ormai diverse volte, ma che adesso, come per gioco, mi diverto semplicemente ad aprire, prendendo qualche pagina un po’ a caso, ed a ripassarne così almeno una o due, come se fossero completamente scisse da tutto il resto. Scopro in questo modo che ci sono frasi e intere pagine che non dicono un bel niente, servono soltanto da riempimento, ed altre che ad essere del tutto generosi sono appena un po’ significative; ma poi ce ne sono alcune che invece spiccano su tutte le altre, e che in un attimo riescono meravigliosamente ad essere il semplice condensato di un intero libro, quasi vanificando così l’importanza pretenziosa di tutto il resto.
            Non ho molte cose di cui occuparmi, questo è evidente, così ogni tanto immagino che mi ammalerò di qualcosa, un giorno o l’altro, e che poi verrà un dottore, forse anche un’infermiera silenziosa con le scarpe dalla suola di gomma, ad occuparsi di me per un giorno, o per qualche tempo; ma forse, se la situazione sarà particolarmente grave, mi porteranno in fretta dentro un ospedale, da cui sono già preparata a non uscire facilmente con i miei stessi piedi. Toglierò definitivamente il disturbo, prima o dopo, come spesso si dice.
            Ma poi torno ad avvicinarmi alla mia finestra, mi piazzo lì seduta e guardo la vita che passa lungo questa strada. Ci sono state delle volte che qualcuno mi ha notato dietro ai vetri e mi ha fatto un timido cenno di saluto, così, forse tanto per fare. Un ragazzo invece mi ha guardato a lungo, chissà che cosa ha visto, forse una somiglianza con sua nonna; così gli ho sorriso, senza esagerare, ma lui è scappato subito. Però dopo è tornato, mi ha guardato ancora mentre io cercavo di ignorarlo, e poi mi ha fatto una fotografia con il suo telefonino. Così mi sono alzata dalla sedia, sono andata a prendere uno dei miei libri e poi l’ho aperto, ma subito ne ho cercato un altro, ed in seguito un altro ancora. Avrei voluto tanto improvvisamente che là dentro quelle pagine ci fosse stato spiegato con chiarezza qualcosa di questa fase così contemporanea, dove tutti vogliono guardare e vedere senza anche provare allo stesso tempo il bisogno di comprendere, però non ho trovato niente.
            Perciò ho lasciato perdere, anche se con una certa vanità ho cercato mentalmente di seguire il percorso che immagino possa aver fatto il mio ritratto di vecchia alla finestra. Non sono riuscita a pensarne niente di buono, a dire la verità, anche se vorrei essere sempre positiva. In ogni caso non ha alcuna importanza: tutto questo non cambierà un bel niente, ho pensato; e soprattutto non porterà mai alcun rumore nuovo in questa stanza, che oramai ogni giorno mi appare sempre più ovattata.

            Bruno Magnolfi


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