Mi sento troppo debole, dice lui restando seduto, le mani abbandonate sul
piano del tavolo di fronte a sé; non posso proprio andare, sarebbe come
accettare passivamente una sconfitta definitiva senza neanche combattere. Gli
altri lo guardano, nessuno insiste, sanno perfettamente che la sua è soltanto
una specie di incapacità di fondo, ma in questo caso non possono essergli
d'aiuto, per quanto sia evidente che ad ognuno di loro piacerebbe comunque
sostenerlo in qualche maniera. Infine si ritirano, rispettando perfettamente la
sua sensibilità, anche se capiscono tutti che il direttore dell'istituto non
verrà mai a chiedere qualcosa ad uno come lui, così fragile e privo di
iniziative, ed in questo modo la possibilità di presentare la domanda per la
revisione del suo caso sarà così rinviata di settimane, forse addirittura di
mesi.
Mi dispiace averli delusi, pensa lui mentre si sente in parte già
rassicurato di restare per qualche momento da solo nel prepararsi alle solite
cose di sempre, come ad una quotidiana celebrazione. Immaginarsi di uscire dall’istituto
anche soltanto durante qualche ora del giorno è un elemento di novità su cui
deve ancora riflettere profondamente: ci vuole un programma preciso di cose da
fare, pensa; ci vuole anche il coraggio adeguato per lasciarsi cambiare così
radicalmente le proprie abitudini ed affrontare l’esterno quasi come fosse
un’esperienza qualsiasi, al contrario di quel sentirsi all’improvviso solo
davvero, una volta fuori, privo completamente di qualsiasi protezione e anche
di riferimenti precisi.
Meglio non presentare alcuna domanda, non parlarne neanche, pensa ancora,
anche se forse, come dicono loro, sarebbe proprio il momento per farlo, probabilmente
il periodo migliore da quando sono qua dentro. Quindi si alza, si stringe
dentro le spalle, e con le mani affondate nelle sue tasche inizia a compiere il
solito giro a passo lentissimo, lungo gli imperiosi corridoi di quell’istituto.
Gli altri lo guardano, qualcuno gli fa un cenno mentre sta passando, molti
vorrebbero ancora parlargli, dire magari che sta sbagliando quasi tutto, che
non deve lasciar perdere ogni cosa in questa maniera. E lui probabilmente lo
sa, capisce perfettamente che cosa possa passare nella testa di chi adesso lo
guarda, ed è per questo che evita tutti, che tira diritto come fa spesso nel
suo solito percorso ormai stabilito nel tempo.
Non è facile prendere certe iniziative: forse sto spudoratamente
sbagliando, riflette ancora tra sé, però certe cose bisogna sentirle, bisogna
siano mature dentro di noi per poter dimostrarsi davvero perseguibili e quindi
attuabili. In fondo, se non cambia niente, niente può farci soffrire, ed ogni
novità risulta soltanto rinviata a dei tempi migliori. Poi si ferma per
guardare fuori da un finestrone naturalmente munito di sbarre. Là fuori c'è il
parcheggio delle automobili di tutto il personale dell'istituto, gente che
arriva o che va via in maniera persino troppo semplice e lineare. Il direttore
si fa vedere solo una volta ogni tanto, lui la conosce bene la sua automobile,
l’ha osservata da dietro già tante volte proprio mentre lui stava andandosene
chissà verso dove. Adesso è laggiù quella sua macchina, la vede bene, ed il
direttore sicuramente è dentro al suo ufficio, e sta prendendo le proprie
decisioni importanti.
Devo ritirarmi nella mia stanza, pensa lui all’improvviso; non posso
lasciare che qualcuno mi trovi così, a girellare senza una meta. Forse devo
addirittura rinchiudermi in un bagno, per far passare almeno il tempo di questa
mattina: capirà il direttore, se pur mi venisse a cercare, che la mia situazione
non è così facile come tutti vorrebbero fosse. Ci vorrà ancora del tempo, riflette
ancora con rapidità: e chissà se anche quello sarà davvero sufficiente.
Bruno Magnolfi
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