Non mi interessa niente di quello
che possono pensare dei miei comportamenti questi colleghi di lavoro quando
parlano nei corridoi davanti alle macchinette del caffè. So che personalmente
devo soltanto seguire un percorso ormai più che tracciato dai fatti, e ormai lo
faccio, vado avanti senza guardarmi troppo attorno, senza neppure pensare che
forse ci potrebbero essere anche delle altre possibilità. Da qualche giorno
giro a piedi, prendo soltanto un mezzo pubblico quando esco di casa al mattino
per arrivare fino in ufficio, ma poi al ritorno percorro con le scarpe tutti i
marciapiedi che mi trovo davanti, e non mi fermo più in nessun locale:
risparmio, è chiaro, evito in tutti i modi persino la tentazione di mettere le
mani dentro le tasche. Impiego circa un’ora in questo modo per tornarmene fino
a casa, ma questo non avrebbe poi molta importanza, se non mi rendessi conto
che il lato più triste della faccenda è che immediatamente comprendo come sia ancora
troppo presto quando mi trovo a salire le scale di questo palazzo, e che mi
sento subito nervoso quando arrivo ad aprire la porta del mio appartamento,
avvertendo forte dentro di me la sensazione di non riuscire a sopportare
nessuno, tantomeno mia moglie e mio figlio che aspettano il mio ritorno come ogni
giorno.
Mi sento solo, distante dalla mia
famiglia, come se mancasse sempre di più nelle mie giornate un vero legame con
questa casa. Mi cambio d’abito in camera da letto, vado in bagno, prendo tempo
fingendo di essere ancora immerso nei miei problemi di lavoro. Anna mi chiama,
dice Corrado sorridendo, poi mi fa delle domande leggere, ma io rispondo a
monosillabi e in certi casi appena con un grugnito; finirà che non avrò più
niente da dire, e la mia scelta finale sarà il silenzio, giusto per troncare
ogni possibile dialogo.
Prendo tempo, penso ancora alle mie
cose, infine è ora di cena finalmente, non c'è molto di nuovo da mangiare, ma
andrà tutto benissimo. Francesco ha sistemato le stoviglie sopra la tavola, c’è
del pollo con le verdure che ha preparato la mia Anna, mi siedo, prendo una
fetta di pane, mi concentro sul primo boccone che ingurgito, poi sul secondo,
infine mi verso del vino dentro il bicchiere. Andiamo avanti quasi di fretta,
nessuno di noi sembra abbia qualcosa da dire agli altri due, e il notiziario
che esce dalla radio accesa con il volume al minimo parla delle cose di sempre,
riempiendo fortunatamente quel vuoto evidente.
Si passa rapidamente alla frutta,
quindi al caffè, ed infine abbiamo già terminato, penso con sollievo, anche se la
serata sembra però ancora lunga, quasi infinita. Devo uscire, dico come
parlando tra me, nessuno ha delle obiezioni, così mi alzo, mi cambio, mi
pettino i capelli ed infine indosso il mio giaccone, poi saluto tutti ed esco
di casa. Quando sono in strada tiro un profondo respiro di sollievo, non so
neppure io il perché, poi prendo lungo il marciapiede senza neppure riflettere
verso quale direzione sia meglio andare. Se guardo intorno tutto qua fuori
sembra uguale, mi sento vagamente angosciato mentre attraverso la via ad un
passaggio pedonale. Infine torno a salire le scale di casa, lo faccio con calma,
poi giro la chiave, ognuno sembra immerso completamente nei fatti propri: devo
andare a dormire penso, domani sarà un’altra giornata difficile.
Bruno Magnolfi
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