Io resto in classe, come spesso mi
accade, seduto dietro al mio banco, anche se sono questi i soli minuti di pausa
intermedia delle lezioni in cui possiamo alzarci e girare un po’ per
sgranchirci le gambe. Gli altri ragazzi difatti sono quasi tutti nel corridoio
per parlare con maggiore scioltezza a voce alta e ridere spesso sguaiatamente,
mentre molti di loro sbocconcellano le varie merende che si sono portati da
casa. Carlo Pieri, per parlare soltanto del più accanito, mi tormenta ormai da
qualche giorno perfino più del solito, per questo cerco di evitarlo con gli
scarsi mezzi di cui dispongo. Lui ha sempre bisogno del pubblico intorno a sé
prima di dirti qualcosa di sgradevole oppure di ridere in modo cattivo per
qualcosa che sei o che stai facendo, così tende a spingermi sempre di più verso
il mio isolamento di cui persino gli insegnanti ogni tanto mi chiedono conto,
quasi fosse qualcosa di cui non avessi già una piena e precisa consapevolezza.
So perfettamente, al contrario, che
in tempi piuttosto brevi devo trovare all’interno della mia classe almeno un
alleato per la mia strenua difesa dagli altri; non è soltanto puro egoismo di
sopravvivenza il motivo delle mie conclusioni, è anche il fatto che avverto profondamente
il bisogno per il benestare completo della stessa aula in cui trascorriamo insieme
tantissime ore del giorno, di rendere maggiormente fluida e socializzante la
mia figura all’interno del gruppo, considerando il mio innaturale isolamento oramai
un problema quasi per tutti.
Ci sono due o tre fra i miei
compagni che ogni tanto mi vengono vicino per chiedere qualcosa, spesso giusto
per farmi conversare, per ricordarsi come sia la mia voce, ma nessuno di loro
mi pare adatto a quello che ho in mente. Poi ci sono quelli che mi ignorano
completamente, come se non ci fossi per niente nella stessa stanza con loro, probabilmente
per evitare qualsiasi contatto con una personalità che sentono completamente
diversa da quella che sanno di avere. Certe volte li guardo, ci sono dei tipi
differenti tra questi, con caratteristiche varie, ma uno di loro è il Neri,
persona forte seria e scontrosa, tenuto di conto praticamente da tutti.
È lui quello che adesso mi serve,
non ho dubbi in proposito, così esco nel corridoio, lo avvicino, gli chiedo se
posso parlargli da solo. Lui si apparta leggermente dagli altri, ed io gli
chiedo diretto se gli andrebbe qualche volta di fingere di essermi amico. Lui
mi guarda con serietà corrucciando la fronte, quindi tira fuori una mano di
tasca per spostare lo sguardo su quella. Vedi Francesco, mi fa, a me non piace mai
fingere, non è nel mio stile, se è questo che chiedi; però non ho difficoltà a
parlare con te, magari sapere davvero chi sei, che cos’hai nella testa, come
mai te ne stai sempre da solo.
Lo guardo: va bene, gli dico, non so
neppure io come mai sono finito in un ruolo che non sento più come mio, però
ormai è così, anche se da un po’ di tempo tutto questo mi pesa. Tu hai la
possibilità di tirarmi fuori da guai anche peggiori, visto che anche i nostri prof
stanno iniziando a tenermi sott’occhio. Va bene, fa lui, da adesso sei mio
amico, mi piace tirare fuori dai guai qualcuno che se lo merita. Mi dà il
cinque ridendo di fronte a tutti, mi stringe alla vita considerando che lui è
robusto ed io mingherlino: tutti gli altri ci guardano, forse sta davvero
cambiando qualcosa.
Bruno Magnolfi
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