Più tardi devo per forza recarmi dal
medico. Questo dolore continua ad andare e tornare, poi si calma, si fa
risentire, e quando vuole si acuisce fortissimo e mi lascia quasi senza
respiro. Mi sono rigirato nel letto mille volte tentando di prendere sonno, ma
è stato inutile e stupido. Non posso certo andare in ufficio. Stamani giro per
casa in pigiama cercando un luogo o una posizione che possa alleviare questa buia
sofferenza, ma sono stremato, mi sento del tutto privo della possibilità di
fare qualsiasi cosa abbia voglia. Mi rannicchio su di una poltrona, stringo
forte le ginocchia contro di me, le tengo con le braccia e le mani, vorrei
anche urlare per sfogo, ma voglio evitare di attirare l’attenzione del
vicinato. Ho la fronte sudata, vorrei avere qualcosa davanti capace di prendere
su di sé almeno una parte della mia attenzione, in modo da passare suppergiù almeno
qualche minuto senza il pensiero continuo di questa piccola parte del corpo che
sta combattendo con forza col resto, di questo grumo di aghi che sento
all’interno di me mentre proseguono a torturarmi simultaneamente procurandomi
un continuo ed insopportabile dolore, leggero forse, ma tremendamente sottile e
costante.
Mi alzo, sbatto un pugno sul muro
cercando come di provare una sofferenza diversa, poi mi riverso sul letto. Mi
vesto, o almeno cerco di vestirmi approfittando dei brevi momenti in cui
l’infido male si attenua; infine esco, chiudo la porta dell’ appartamento alle
mie spalle e poi resto lì, sul pianerottolo, cercando di comprendere se possa
riuscire con le poche forze che mi ritrovo, a raggiungere l’ambulatorio del
medico, oppure se dovrò ad un certo punto chiedere aiuto a qualcuno, magari proprio
lungo la strada. Scendo le scale con estrema cautela, i miei dolori paiono in
una fase piuttosto attenuata, poi esco, respiro l’aria fresca e piacevole,
guardo tutto quanto ciò che c'è attorno e d’improvviso sento le cose quasi sfuggirmi
di mano, come se fossero queste le ultime volte in cui possa riuscire a godere
persino di un pomeriggio qualsiasi.
Faccio dei piccoli passi, mi fermo
guardando le vetrine di questi negozi, riprendo a camminare quasi senza
espressioni sul viso, cerco di tenere le mani dentro le tasche, di dare un
andamento naturale al mio corpo martoriato da questo invischiante dolore, che
in questo momento non è poi così forte, però mostra con costanza la sua
presenza, lasciando che ancora ne avverta una coda forse leggera, ma
persistente. Poi sono all’ambulatorio. Entro, ci sono due o tre persone che
attendono, parlo con l’infermiera e mi viene spontanea una smorfia di dolore.
La donna si alza dal suo piccolo scrittoio, mi prende per un braccio, mi fa
sedere, poi va a parlare col medico, dentro lo studio che intravedo dallo
spiraglio della porta socchiusa. Trascorrono così cinque minuti, gli altri
presenti mi guardano, un paziente esce dallo studio ed il medico dietro di lui
si fa sulla porta, mi invita subito ad entrare, e appena dentro mi lascia
sdraiare sopra al lettino. Mi guarda, mi tocca, mi chiede, saggia, ausculta,
usa gli strumenti che ha lì disponibili, poi alza il telefono, chiede qualcosa
a qualcuno, mi fissa degli appuntamenti, dice che il mio caso sembra essere
urgente, poi scrive sul suo taccuino per le ricette una serie di farmaci da
prendere iniziando da subito, o almeno al più presto possibile. Quando esco da
lì con i fogli dentro la tasca sento di stare già meglio. Più tardi poi tutto
si attenua.
Bruno Magnolfi
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