Certe volte mi sento proprio stanco
della monotonia di queste giornate che mi appaiono tutte così simili l’una
all’altra da non riuscire a tenerne a mente neppure una. Le cose da fare per la
mia figura professionale sono sempre all’incirca le medesime, non c’è mai
alcuna possibilità di poter sbagliare: farsi trovare da qualsiasi paziente arrivi
concentrato ma in assoluta tranquillità di fronte all’elaboratore elettronico dentro
allo studio medico asettico e attrezzato, lasciare che una delle infermiere con
i guanti in lattice, dopo aver verificato tutti i dati e la prenotazione, lo
inviti a stendersi sopra al lettino coperto di carta opportunamente sistemata,
e poi attendere per qualche attimo che vengano svolti tutti i preliminari
dell’esame, spiegare a lei qualche ulteriore indicazione sulle poche differenze
che si possono trovare dentro ai fogli che consulto stampati dai colleghi, ed
infine avviare il programma elettronico del macchinario, tanto da dovermi
alzare finalmente da dietro la mia scrivania e passare alle solite domande di
rito dirette all’ammalato, contemporaneamente a dei minimi palpeggiamenti
doverosi sul suo ordinario corpo teso. Certo che i pazienti sono
sostanzialmente tutti diversi uno dall’altro, qualcuno estremamente timoroso,
altri al contrario strafottenti, e poi c'è anche chi mostrando qualche
pregressa patologia si fa forte delle proprie piccole esperienze, mostrando di
averne passate talmente tante da snobbare tutto ciò che sta avvenendo e non
meravigliandosi ulteriormente più di nulla.
Mi annoio, questo è il punto, pur
sapendo perfettamente che sto aiutando magari decine di persone a non morire, o
ad alleviare notevolmente quei loro dolori che spesso tutti dicono di
avvertire, o anche mitigare soltanto le generali sofferenze di cui parlano,
trovando spesso soluzioni rapide ed efficaci per indicare le cure più opportune
da iniziare subito dopo questi miei diretti esami clinici. Poi però arriva
questo tizio, sembra in sostanza uno qualsiasi, però si vede subito che sta
proprio nei guai, che la sua situazione sanitaria non è neppure la cosa più
antipatica che lui sta aspettandosi dal suo presente. C'è altro dietro al suo
sguardo, si avverte in concreto persino nel rispondere a me solamente a
monosillabi, e poi si vede immediatamente dopo, mentre evidenzia quanto non
abbia quasi alcuna fiducia in colui che in questo momento si sta trovando
proprio di fronte, manifestandogli in sostanza una completa indifferenza,
perché probabilmente vorrebbe soltanto essere oltre, dimenticare in fretta
tutto quanto, lasciarsi alle spalle questi anonimi camici bianchi che vede camminare
in giro, ed avere in fretta un’altra buona possibilità per tirarsi fuori da
tutto, dai suoi guai, probabilmente, o anche dal suo corpo che desidera tanto sanificare,
e forse ritrovarsi all’improvviso senza avere più nessuno tra tutti quei
problemi che lo assillano in questa sua ultima fase.
Scrivo svelto una diagnosi mentre mi
rimetto dietro all’elaboratore: lui si riveste, Renai si chiama, ed anche se
adesso appare così sfuggente, mi sembra di conoscere il tipo di persona, perciò
svolgo soltanto questo mio ruolo stampando i codici risultati dalle macchine, ed
elargisco ai fogli una sola semplice occhiata, poi vado ad infilarli dentro
alla busta di colore giallo. Arrivederci, dico, anche la nostra conoscenza
finisce adesso; avanti il prossimo.
Bruno Magnolfi
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