Mi sento solo mentre
cammino lentamente verso casa, una volta terminate tutte le ore di lezione.
Dietro di me sento ancora gli strepiti e le urla di tutti i compagni che ci
vengono a studiare in questa scuola, e poi le loro risate nei corridoi, le
parole forti, i discorsi fatti senza avere praticamente nessun senso, le loro argomentazioni
certe volte buttate là come delle semplici provocazioni, o come certi possibili
elementi di riappropriazione o di evidenza delle proprie diverse individualità.
Tutto chiaro, tutto comprensibile. Percorro a piedi quasi sempre la stessa via
quando esco da là dentro per tornare a casa, salvo ogni tanto girare per qualche
strada alternativa, giusto per non sentirmi costretto lungo quel medesimo
solito solco. Non ritengo di dover affrontare nessuna fase particolare del mio
percorso da ora fino alle prossime settimane, nessun passaggio in cui magari
dover esercitare tutta la mia capacità di comprensione e anche di analisi della
realtà, eppure mi sento teso, sono proprio nervoso, come se qualcosa di
incomprensibile stesse veramente per accadere, o come se io stesso
all’improvviso fossi chiamato a prendere importanti decisioni.
Sono
diversi giorni che non esco con Cinzia, e non per un motivo preciso, ma
soltanto per semplice indolenza, per la mia incapacità di essere propositivo, e
qualcuno mi è persino venuto a dire, senza che avessi chiesto niente, che lei sta
uscendo con alcuni amici suoi che io neanche conosco, nonostante tutto questo
in fondo non abbia per me alcuna importanza, perché alla fine io e lei che pur siamo
solidali su tante cose, ci sentiamo anche delle persone differenti, e non posso
certo pretendere che il mio semplice sentire quotidiano sia adesso in qualche
modo assimilabile a quella sua evidente sensibilità da imprendibile estroversa.
E poi io sono sempre stato solo, inutile illudermi che la mia personalità possa
cambiare in questo momento soltanto perché sono suo conoscente. Se fino a poco
tempo fa riuscivo ad avere al massimo soltanto qualche scambio di opinione con
la mamma, per esempio, adesso è venuto meno persino questo aspetto, e mi sento
lontano anche da lei, dai suoi problemi, dai suoi modi sempre più nervosi di
comportarsi verso di me.
Nel pomeriggio credo che mi rintanerò come sempre
nella mia piccola stanza, a leggere, a studiare, forse a portare avanti qualche
disegno, e tutt’al più a pensare alle mie cose, proprio come fossero le più
importanti tra tutte quelle che mi passano vicino. Certe volte vorrei proprio perdermi
tra gli altri, avere la capacità di dimenticare queste mie solite fissazioni,
inventarmi quei gesti che maggiormente mi procurano piacere, come gli scorci di
realtà che ho sempre voglia di definire sulla carta sotto forma di ritratto, e
lasciarmi andare a quello che a tutti quanti darebbe sicuramente maggior soddisfazione,
come fossi esattamente uno di loro, cioè un ragazzo qualsiasi, uno che abita la
casa di una famiglia come tante, senza alcuna vera differenza.
Forse oggi pomeriggio potrei andare in biblioteca,
a studiare per un po’ su quei larghi tavoli in mezzo a tutte le altre persone
che normalmente la frequentano, e poi magari fermarmi qualche minuto nell’ingresso,
ad ascoltare cosa si dice in giro tra i ragazzi che sono già degli universitari,
per comprendere quali siano davvero gli argomenti forti in questo periodo che a
me pare sempre più confuso. Potrei telefonare a Cinzia magari, e chiederle
senza mezzi termini di mollare tutti i suoi stupidi amici del momento e di
raggiungermi, come per uno slancio di rinnovati sentimenti l’una verso l’altro,
e viceversa. Sorrido tra me mentre continuo a camminare: sicuramente non farò
niente del genere, è più che evidente, ed il mio almeno per oggi sarà un normalissimo
rimetterci tutto di persona, come perdere una qualsiasi battaglia senza neppure
tentare di difendersi. Cambierò comunque, uno di questi giorni, ne sono già
sicuro.
Bruno Magnolfi
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