Seduto
nel suo solito banco scolastico lui si sente bene: appoggia come sempre le
palme delle mani sopra a quel piano liscio e semilucido, con le ginocchia che
restano appena sotto al ripiano dove tiene i suoi quaderni, ed i suoi piedi
dentro alle scarpe da ginnastica che riposano come di norma sopra all’apposito
ferro orizzontale di appoggio, ed in quella posizione che si potrebbe dire
praticamente ordinaria lui si limita a guardare fisso negli occhi il suo
insegnante di turno, mentre quello sta spiegando a tutta la classe qualcosa di
estremamente importante accaduto circa duecento anni prima di questo momento.
Non vorrebbe distrarsi neppure per un attimo, perché quella lezione gli
interessa davvero, anche per tutte le implicazioni che comporta, ma i suoi
pensieri tendono continuamente a portarlo lontano da quegli argomenti, come se
una strana calamita attirasse tutta la sua attenzione verso altre cose,
addirittura contro la propria volontà.
Il futuro è sostanzialmente generico
e soprattutto astratto, e ciò che più conta è incamerare adesso tutto quello
che potrà servire per affrontare degnamente e con i giusti strumenti anche le
stranezze e le variazioni che potrebbero eventualmente presentarsi; Francesco
si sente determinato, non ha necessità neppure di concentrarsi troppo per
comprendere come stiano preparandosi per lui evidenti momenti di difficoltà,
ostacoli ed imprevisti che probabilmente però lo guideranno fino a fortificarsi
nelle proprie convinzioni, e di questa certezza lui si sente convinto in questo
preciso momento, forse come non si è mai sentito. Non ha certo avuto
tentennamenti difatti poco prima, durante la breve pausa tra una lezione e
l’altra, proprio nell’affrontare di corsa e senza indugi gli ampi corridoi scolastici
di quell’edificio, fino ad arrivare davanti all’aula dove studia Cinzia, per
poi velocemente cercarla in mezzo a tutti gli altri compagni, ed alla fine
chiederle senza mezzi termini che cosa non stesse andando più tra loro in
quegli ultimi giorni. Non posso parlartene qui, ha risposto lei guardando in
basso dopo una pausa: vediamoci al solito bar, dopo la scuola.
Francesco si sente comunque già
soddisfatto del suo puntare bene i piedi a terra, del suo forte desiderio di
comprendere appieno ciò che sta avvenendo, di quel suo mostrarsi fortemente
reattivo a certe presunte importanti variazioni, smettendo di sentirsi come nel
passato semplice preda passiva di qualsiasi idea malsana fosse passata dentro
alla mente di qualcuno. Si tratta di ritenersi una vera persona, questo ciò che
pensa da qualche tempo, di provare soprattutto la necessità di conoscere bene
gli altri, di ascoltare tutti, di mettere a punto un equilibrio tra se stessi e
loro, fino a commisurate la propria personalità con quella di tutti coloro che
gli possono stare accanto. Certo, ci sono i suoi disegni che confrontano passo
dopo passo ogni suo progredire, con i pensieri riverberati sopra a quei suoi
meravigliosi fogli bianchi, perché il suo esprimersi in fondo sta tutto lì,
senza bisogno neppure di parole, o meglio semplicemente sottintendendole,
proiettando ogni suo più complesso proponimento oltre la semplice indicazione
delle frasi. Ma questo non basta, ci stanno altre cose che chiedono una sua
precisa presenza.
Ma in fondo forse non ha molta
importanza, pensa subito dopo; va bene così: non ci sarà mai per me una reale
strada diversa che mi porti verso il confronto con gli altri, se non questo mio
immedesimarmi continuo nel segno che la mia matita traccia sul foglio. E’ lì
che stanno concentrate tutte le mie ambizioni; è lì dove si annidano i miei
pensieri, il resto poi non riuscirò mai a comprenderlo appieno probabilmente, e
quindi può anche andare avanti per conto proprio: saprò sempre in ogni momento
che ci avrò provato ripetutamente ad essere uno esattamente come tutti, e se
mai comprendessi uno di questi giorni di non essere riuscito del tutto nel mio
intento, rimarrà per me comunque la carta bianca, pronta ancora una volta per
la mia matita.
Bruno Magnolfi
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