La sera, rimanendo
spesso a casa, sono quasi riuscito a recuperare uno spazio più mio, di cui in
altri periodi credevo sbagliando di non averne proprio la necessità. Invece
ascolto la radio, guardo qualcosa dalla finestra, rifletto sopra le mie cose,
cercando qualche soluzione ai miei problemi. Insomma respiro una dimensione
intima di cui credevo non avere bisogno. Poi sento suonare il campanello alla
porta. Apro, ed è la mia vicina di appartamento che viene ad aggiornarmi su una
recente riunione di condominio. Le chiedo di entrare, ma lei è restia, anche se
dopo le mie insistenze accetta di farsi preparare un caffè, ed alla fine si
siede al tavolo della stanza.
“Era un pezzo che non ti si vedeva in giro”, dice
lei. Mi schernisco, non voglio dirle le mie cose, però avrei anche voglia di
rivelare a qualcuno tutto quello che mi succede. “”Ho come cambiato lavoro”,
faccio; “adesso sono un guardiano di giorno”. Ride, anche io rido. Le verso il
caffè. “Ho bisogno di riprendere il ritmo però”, le dico. “Per adesso mi trovo
un po’ come isolato”. Lei mi guarda, è giovane, abita ancora con i suoi, però
ha capito benissimo il mio problema. “Potresti portarmi in giro, una sera di
queste”, mi fa. “Certo”, dico io, “si potrebbe andare ad infilarci in qualche
locale dove facilmente ci si dimentica dei propri guai”. “D’accordo”, fa lei,
“basta che tu me lo dica il giorno avanti ed io mi faccio trovare pronta”.
Poi parliamo della vita sociale del nostro
quartiere ed anche dei problemi del palazzo dove abitiamo, infine lei si alza,
mi saluta, se ne va. Chissà cosa direbbero nel vicinato se solo sapessero che
svolgo un mestiere così assurdo e di cui non conosco neppure io quasi niente,
penso. In ogni caso, per quanto mi riguarda, ho smesso di preoccuparmi dei
compiti che mi vengono assegnati, e di tutti i dubbi che mi prendono in merito
a chi saranno mai i miei datori di lavoro, e soprattutto quali benefici
tireranno fuori dai miei servigi.
Poi indosso una giacca ed esco, la sera è fresca,
ma non si sta male in giro se non si hanno per la testa dei grossi problemi. Mi
mangio una focaccia dentro a un bar, poi torno sulla strada con la mia lattina
di birra in una mano. Farò un altro giro a piedi penso, e quando sarà l'ora
giusta metterò in moto la mia macchina per tornare al parcheggio dello stadio,
a controllare da lontano gli spostamenti del sorvegliante di notte che mi ha
sostituito. Se solo avessi il suo numero di telefono potrei chiedergli un sacco
di belle cose, ma credo proprio che i nostri cellulari siano sotto controllo da
parte dei nostri datori di lavoro, e per qualche motivo che sia loro preciso
desiderio far sentire ognuno di noi sempre in completa solitudine nel mestiere
che porta avanti.
Così faccio un giro con la macchina, ma alla fine
evito di farmi vedere davvero nei dintorni dello stadio. Cosa mi interessa
penso, ci sono tante altre cose di cui occuparsi, quello del lavoro è proprio
l'ultimo argomento da prendere sul serio. Scorro lungo i viali, armeggio con la
radio, mi diverto a sorpassare le altre macchine, e alla fine senza neppure volerlo
mi vado a ritrovare proprio dalle parti del campo da calcio, così entro nel
parcheggio dello stadio a velocità abbastanza sostenuta, giusto per fare un
giro e poi andarmene via. Però una macchina di fronte alla mia lampeggia con i
fari, perciò rallento, mi guardo attorno, quindi mi fermo.
È la guardia di notte: scende dalla sua auto, mi
osserva dal finestrino che apro, poi dice che è già stufo di questo lavoro, che
a lui interessano altre cose, non può avvelenarsi la vita con certe stupidaggini.
Lo ascolto, non so che cosa dirgli, forse ha ragione lui: affondare la
curiosità dentro a questo fango denso non porta certo niente di buono. Tanto
vale restare sugli aspetti personali, i propri interessi, l'egoismo stretto.
Del resto non ci deve interessare proprio nulla.
Bruno Magnolfi
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