Sono senza parole.
Mangio, mi riposo, esco da casa, lavoro, tutto senza usare un’unica parola di
troppo con chi incontro durante questo percorso. Svolgo ogni cosa che devo,
nella maniera come mi hanno chiesto di svolgerla, e mi sento però così
atrofizzato durante la scansione delle ore del giorno e della notte, che
ritengo di essermi ormai ammalato, anche se non saprei neppure specificare di
che cosa. Non ho più alcun vero interesse, se non quello di rendermi conto che
tutto procede in avanti, e che io sono oltremodo fedele a quanto mi sono
prefisso di rispettare. Forse la giornata nel suo svolgimento non è più neppure
la mia, ma non posso oramai farci niente.
Mentre affronto con
questo spirito praticamente ogni momento che passa, mi giunge un messaggio sul
cellulare da parte dei miei datori di lavoro, che sono tornati attivi e
raggiungibili almeno per le comunicazioni. Si dice a chiare lettere che verrò
spostato dal mio abituale luogo di occupazione, e che per il momento comunque dovrei
andare a sorvegliare ancora il parcheggio dello stadio, ma stavolta durante il
giorno invece che durante la notte. Non pongo domande, quello che devo sapere
mi è già stato detto, perciò non rispondo neppure, visto che è dimostrato come
loro riescono a sapere tutto di me, perfino quello che penso.
Non cambia niente rifletto, anzi, non dover andare
di notte in quel parcheggio deserto a controllare poco più del niente, mi apre
scenari diversi, e dovrò senz'altro rendermi conto di cosa mi si chieda
davvero, vista la situazione. Decido di fare con la mia macchina subito un
salto intorno allo stadio, in modo tale da rendermi conto se il parcheggio a
quest'ora, in assenza di partite di calcio, sia usato e da chi. Giunto sul
posto vedo che un numero piuttosto rilevante di corriere gran turismo
stazionano ammassate in buon ordine su un lato dello spiazzo asfaltato, così mando
un messaggio ai miei capi per accertarmi se devo inviare loro ogni volta targa
e modello di questi grossi mezzi che poi sono gli unici presenti. “Certo”, mi
viene risposto; “dobbiamo avere notizia di chiunque si trovi da quelle parti; e
possibilmente anche che cosa stia facendo”.
Annuisco, poi faccio un paio di giri attorno allo
stadio ed infine torno con calma verso la mia abitazione; forse tra gli autisti
dei pullman che stanno lì generalmente a pulire le grandi superfici vetrate, ad
aspirare la povere, e ad accudire i loro mezzi con una certa solerzia, c'è
anche qualcuno che nasconde chissà dove e come, nella carrozzeria, qualche
panetto di droga, svolgendo così ruolo di corriere tra una città e quell'altra.
Non lo so, penso, però qualcosa sotto ci sarà pure, per doverne controllare
ogni spostamento. In qualche maniera comunque credo di aver fatto carriera
visto che il lavoro svolto di giorno risulta più facile e meno noioso che
durante la notte.
Entro in casa e mi siedo, poi accendo la
televisione. In fondo che cosa mi importa di tutto questo. Il mio lavoro lo
devo portare avanti nella maniera migliore, a che cosa serva poi è una cosa che
in generale non mi riguarda. Tra le notizie locali dei telegiornali non c’è
niente che prenda in considerazione lo stadio e nulla che riguardi il
narcotraffico, e così, giusto per il momento, non ho niente di cui
preoccuparmi, o almeno credo. Giro la ricezione su un programma che sta
trasmettendo una pellicola cinematografica che ho già rivisto, perciò mi lascio
prendere da quelle immagini mentre abbasso del tutto il volume. Tra poco posso
uscire di nuovo da casa, comprarmi qualcosa da mangiare, ascoltare qualche
chiacchiera insulsa dei bottegai, sorridere a chi mi sorride e contraccambiare
il saluto a chi mi saluta. Una vita normale, insomma, quasi come quella di
chiunque non si lasci prendere troppo dal proprio lavoro: tutto sotto controllo
perciò, l’importante è ricordarsi come sempre di non porsi mai troppe domande.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento