Sto sdraiato sul
letto. Non voglio spostarmi da qui. Sento una musica che giunge da qualche
appartamento vicino, e mi sembra di essere in qualche stanza diversa dalla mia,
a godermi questo fresco, e la musica, e anche il pomeriggio tranquillo. Sono
pronto a portare avanti tutte le cose, certamente, e ad essere comunque quello
che sono, di nuovo, come ogni giorno. Ed anche ogni notte, quando tutto ritorna
all’inizio, all’origine, al principio di ogni mio male.
Mi tormenta l’immagine di qualcuno che tiene
serrati e muove tutti i fili, ed io che obbedisco. Ma non c’è niente da fare,
devo procedere, anche se non mi piace. La musica adesso è soltanto un ronzio in
quattro quarti, ma per me è già sufficiente.
Mi rigiro su un fianco, forse mi piacerebbe essere
da qualche altra parte, però va bene anche così. Con gli occhi spalancati mi
proietto giù dalla finestra fino alla strada, fino ad osservare i clienti
seduti ai tavolini all'aperto del bar che frequentavo soltanto fino a due o tre
giorni fa. Adesso lo evito, ne va della mia sicurezza, però mi immagino un paio
di belle ragazze che si scambiano le loro impressioni ridendo e controllando i
messaggi sui loro cellulari.
Stanno sedute, tranquille, sorseggiano ogni tanto
una birra, poi forse parlano anche di me, di come oramai non mi si veda più da
queste parti; un tipo simpatico, magari un po’ troppo riservato, ma pronto a
stare allo scherzo, preciso, uno di noi. Si guardano attorno, alla ricerca di
novità, o di un viso noto tra tutti questi rompiscatole che continuano a
guardarle bramosi.
Vorrei scendere da voi, tento di spiegare a mezze
parole. Ma non mi è facile, non adesso, perlomeno. Loro comprendono, sorridono
mentre guardano di nuovo i loro cellulari. Non c'è niente di male, è facile
aspettare, basta star qui, senza porsi particolari domande. Però si avvicina
qualcuno, dice qualcosa, loro lo guardano; si, dicono, possiamo venire con te, certamente,
da qualche altra parte, va bene, non importa se lui non mi si è ancora fatto
vedere, sarà per un'altra occasione, non c'è alcuna fretta, non c'era neppure un
appuntamento preciso.
Si alzano, ridono, sono subito pronte. Urlo
qualcosa dalla mia posizione, ma non serve a un bel niente, anche se potrei
forse scendere di corsa e cercare di impedire che tutto si compia. Ma in fondo,
che cosa mi importa, potrei dire: sono qui, con questa musica strana che
risuona tra i muri, ed il bello è che mi allieta ascoltarla, è come se fosse
una parte di me, qualcosa che mi induce a restare, a trattenermi ancora su
questo giaciglio, almeno fino a quando è possibile.
Saluto tutti mentre li vedo andarsene via poco alla
volta; ho voglia soltanto di starmene fermo e da solo, a seguire gli accordi di
questo pezzo che a tratti sembra quasi un crescendo, ma poi ripiega e torna
all'inizio, ogni volta senza risolversi in niente. Forse sono anch'io come una
musica senza capo né coda, dico alle ragazze mentre continuano a ridere. Potrei
rincorrervi, partecipare al vostro sentirvi lontano da tutto, ma ho scelto di
stare in un diverso contesto: qualcosa che non richiede il pensiero, niente di
ciò che siamo già abituati a considerare.
Perdo la testa dietro questa musica insolita, è se come
nascesse direttamente dentro di me, dalle mie mani quasi appoggiate su una
tastiera di pianoforte, a far correre le dita agili e rapide avanti ed
indietro, e cullarmi con loro su queste corde metalliche martellate lievemente
e con grazia, come sapessi perfettamente quanto il loro vibrare sia capace di
modificare le cose, e lasciare che tutto si riesca a modellare sulle onde
incrociate delle vibrazioni che escono. Ma è una musica quella che sento,
soltanto una musica.
Bruno Magnolfi
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