Vado in giro a piedi
per la città insieme a due amici, Fausto M. e Claudio D., ma loro cercano di
prendermi in giro per il mio atteggiamento sempre un po’ alternativo a tutto,
così ridendo li prendo a spintoni per tentare di farli smettere, ma Fausto M.
va a sbattere la testa su un muro lì accanto, e quindi crolla a terra.
Intervengono due tizi che dicono sia meglio portarlo velocemente in ospedale,
anche se a me non pare un caso così grave, ma dando retta a loro ci mettiamo
tutti a correre insieme al ferito, ed in questo frangente si affiancano a noi
due ragazzi di colore.
Come immaginavo, il malessere di Fausto M. non è
grave, e tutto si risolve abbastanza in fretta, però a questo punto io sono
stufo e lascio tutti lì, così me ne vado via insieme agli ultimi arrivati, i
due ragazzi di colore, di cui uno dice di chiamarsi Malcolm. Gli spiego ridendo,
mentre camminiamo, che io lo conosco bene, e che diomio, ho letto praticamente tutte
le trascrizioni dei discorsi alla sua gente, anche se lui sostiene di non
averne ancora pronunciato neanche uno, e poi soprattutto gli spiego che ho letteralmente
divorato la sua autobiografia, uno dei libri più belli che io abbia mai avuto
tra le mani. Lui però mi guarda stupito, perché è ancora troppo giovane, è un
ragazzo, uno sbandato, e non sa neppure lui quello che potrà diventare nei
prossimi anni.
Cerco di spiegargli qualcosa delle sue lotte, del
black muslim e delle organizzazioni a difesa della gente di colore nord
americana, e poi anche del black panther party ed il resto, ma lui mi prende
quasi per un pazzo, e non può essere, mi dice, che tu conosca tutte queste cose
se non sono ancora minimamente avvenute. Gli ripeto con fermezza che lui
diventerà in breve tempo un vero rivoluzionario, non un qualsiasi pacifista
come quel reverendo Martin Luther King, ma uno che va in fondo alle cose, e rinnega
la componente bianca del suo sangue e di quello di tutta la sua gente, frutto degli
stupratori bianchi del passato schiavista del sud statunitense, e lui dice
diomio, forse questo può anche essere vero, però non so proprio cosa è meglio
che io faccia adesso.
Così gli spiego in due parole che anche se adesso
si chiama solamente Malcolm, in seguito si farà chiamare con una X, proprio per
questo motivo di rinnegare un cognome americano, e che il suo destino oramai è
segnato, perché saprà tirarsi dietro, da qui a poco, tutta la gente di colore,
gli umili e gli oppressi di questo paese razzista, e che verrà vagheggiato in
molti suoi discorsi il ritorno per tutti alla propria terra madre Africa, come
unica possibilità per loro. Lui mi guarda, dice diomio, forse sarà proprio così
che andranno le cose, però adesso è ancora presto perché io le affronti di
petto, ed io gli dico che invece deve iniziare subito, perché non c’è davvero
molto tempo, e ad un tratto mi viene da piangere solo a pensare di essere
davanti ad un grande personaggio proprio come Malcolm X, e di aver letto su di
lui tutti quei libri della Samonà e Savelli, e degli altri editori sconosciuti,
ma anche di Einaudi, perché alla fine, almeno qualche tempo fa, c’era gente persino
in questo nostro paese che in quei giorni seguiva proprio quell’argomento.
Lui torna a guardarmi in faccia, io gli dico che ci
sarebbe bisogno di tante altre persone proprio come lui, e che forse non
avrebbe meritato di essere ammazzato come un cane proprio mentre teneva uno dei
suoi discorsi, e lui mi guarda incredulo, forse non mi crede, ma poi dice diomio,
diventerò così importante da spingere qualcuno ad uccidermi mi dice, ma io glielo
giuro, andrà così, non c’è proprio molto tempo, e non c’è altro da fare, e poi mi
viene proprio da piangere solo a pensare di avere adesso davanti una persona
come Malcolm X, ammazzato come un cane, soltanto perché stava parlando, perché
stava spiegando alla sua gente cosa ci fosse di giusto da fare, e tutti quei
libri e quei discorsi, e anche “col sangue agli occhi” di Jackson e tutte le
altre pubblicazioni, che adesso sono niente, diomio, se non viene presa coscienza
di tutto quanto.
Malcolm continua a guardarmi, forse può voltare la
faccia e disinteressarsi di tutto questo se gli va, ma non si comporta così, ed
invece mi fissa, sa che gli sto dicendo qualcosa di molto vicino al vero, ed
anche la faccenda della sua morte cruenta sta tutta lì, pronta a dimostrarlo.
Ci vorrebbero altre persone come te, gli dico: altri per dire in giro a voce
alta tutte le cose come stanno, e far prendere coscienza della propria
condizione tutte quelle persone oppresse e sottomesse che ci sono. Poi però è
il momento dei saluti, ed io non so proprio cosa dire, perciò soltanto un “ciao”
riesco a pronunciare, e poi penso che “è stato bello conoscerti, e che io
adesso non so proprio che dirti, perché tu, carissimo Malcolm X, fra non molto
morirai per una causa sacrosanta, ed io non potrò proprio fare niente per te, e
di questo porterò per anni con me un dispiacere profondo, che adesso non saprei
neanche spiegarti”. “Ciao”, ti dico allora mentre piango, diomio, “arrivederci”.
Bruno Magnolfi
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