Per questa notte mi sono accovacciato
dentro la mia macchina cercando di dormire in una coperta un po’ alla meglio.
Ma è certo che non posso continuare così. Sono in fuga, non so neanche bene da
cosa, ma in ogni caso devo cercare di mantenermi lucido per affrontare
qualsiasi evenienza. Non ho più neppure acceso il mio cellulare, e non lo farò
fintanto che non avrò trovato un luogo sicuro dove restare. Più tardi andrò a
visitare i magazzini della stazione ferroviaria centrale, e forse da quelle
parti troverò un posto, insieme agli altri barboni magari, dove piazzarmi
almeno per qualche notte, anche se in seguito cercherò altre soluzioni.
I soldi che sono riuscito a
racimolare in questo momento stanno tutti insieme nella mia tasca interna: devo
vivere alla giornata, farmi vedere in giro il meno possibile e lasciar
trascorrere in questo modo una settimana o anche due, senza minimamente ripassare
dal mio appartamento. A quel punto probabilmente i miei capi si saranno stufati
di farmi cercare, perciò poco per volta riuscirò forse a riprendere una vita che
sia più normale. Comunque non mi importa di dover affrontare un periodo di
sacrificio, in fondo a me basta uscire da un incubo in cui non so neppure io
come abbia fatto a ritrovarmi.
Mi guardo attorno mentre apro una
busta con dentro qualcosa da mangiare che ho preso precedentemente in una
rosticceria lungo la strada. Mi sono seduto su una panchina riparata di questo
giardino, e penso proprio che qui non verrà proprio a cercarmi nessuno. Due
signore passano chiacchierando e mi osservano per qualche momento. Il mio
problema sostanziale è quello di calarmi in un personaggio che non deve essere assolutamente
riconosciuto, per questo sarà necessario farmi allungare la barba e mettermi
vestiti il più possibile anonimi e mal ridotti, in modo da farmi scambiare per
uno sbandato o qualcosa del genere.
Cammino lentamente lungo una strada
con il cappello ben calato sugli occhi, e so perfettamente dove ho lasciato parcheggiata
la mia automobile, così come appare evidente che in questo periodo non la dovrò
praticamente più usare. Accendo per un attimo il mio cellulare: nessuna
chiamata, nessun messaggio, quasi più inquietante di qualsiasi minaccia
verbale. Poi torno a spengerlo. Mi infilo nella stazione ferroviaria, e mi
perdo tra le centinaia di persone che vanno e che vengono. Nessuno mi nota,
nessuno mi chiede niente; così scorro tutti gli edifici arrivando a percorrere
con calma un vialetto che costeggia i binari, e giungendo così nella zona dove si
aprono i depositi, nascosti dietro ad una serie di vagoni fermi e senza motrice.
Trovo un tizio che mi spiega come
non sia ancora l’ora per farmi vedere da quelle parti; io annuisco per
lasciarlo parlare, e quello forse mi prende per uno scarso di comprensione, perché
con parole allentate mi dice che devo attendere dopo il tramonto, mostrandomi l’orologio.
Borbotto qualcosa senza spostarmi, e quando quello va via, apro uno sportello
con una pinza, e mi ficco subito in uno scompartimento. Ho la mia borsa con me,
così me la metto sotto la testa e mi sdraio. Cosa mi importa di tutto il resto
penso: sono qui senza che nessuno sappia niente di me, mi riposo senza problemi
e lascio che tutto vada per il suo verso, come se a me non riguardasse. Dopo
vedremo: c’è tutto il tempo adesso per capire come si svilupperanno le cose.
Bruno Magnolfi
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