Niente potrà migliorare penso, se
non la mia percezione della realtà, il mio considerare tutte le cose in maniera
più positiva di quello che sono. Per questo cerco spesso di allontanarmi da
chiunque, semplicemente per non coinvolgere altri nel mio scadimento. Al bar mi
chiamano il poeta, perché credono che dentro di me percepisca la realtà sotto
forma di versi, di parole insolite, di circonvoluzioni letterarie. Forse è anche
così, ma soprattutto quando loro mi definiscono in questo modo, sanno quanto
sia soprattutto la solitudine il mio perenne stato mentale. Non tanto perché mi
comporto in maniera di non frequentare gli altri, quanto perché cerco in ogni
momento di valutare tutto in una maniera soltanto mia.
Non arriverà niente di buono penso,
da tutto questo falso tentativo di dare importanza alle persone. Fino a quando
tutti si assomiglieranno non ci potrà essere alcun cambio, nessun salto di
qualità. Si pensano le medesime cose, spesso le più elementari, e poi ci
meravigliamo se non giungono i risultati che avremmo voluto. Non sono migliore
di altri, tutt’altro, soltanto mi tengo a distanza dalle riflessioni comuni,
dai pensieri di tutti, dai ragionamenti che portano ad essere invariabilmente
d’accordo con coloro che parlano di più.
Così vado al bar e mi metto da una
parte. Se proprio devo scegliere, preferisco sentirmi isolato, pur in mezzo a
molti altri individui. Mi siedo, bevo una birra, mi guardo attorno. Non c’è
alcuna necessità penso, di fingere una socializzazione senza presupposti, di
mostrare sentimenti di amicizia talmente
superficiali da apparire impalpabili. Li osservo, i presenti dentro al locale, mentre
continuano a ridere quasi di tutto, e certe volte anche di me: fanno così per
mostrarsi il più possibile distanti penso, per etichettarmi come diverso, per
evidenziare che non c’è alcuna ragione per prendere davvero sul serio quello
che mostro di me.
Poi
arriva uno nel bar che neppure conosco, e mi chiede di colpo se io sia davvero
il poeta. Annuisco, non ho bisogno di mettermi in mostra nel bene o nel male,
però non dico mai delle cose che non siano veritiere. Dice che secondo lui sono
un gran personaggio, un tipo che potrebbe fare scuola, e lui è venuto fin qui
per farmi una specie di intervista. Vorrei rispondergli che sta perdendo il suo
tempo, non sono affatto il tipo che lui crede, ho ben poco da offrire a
chiunque altro, ma mi limito ad alzare le spalle e sorseggiare la birra.
Quello
insiste, sostiene che ci potrebbe essere un seguito per me da tutto questo,
potrei diventare famoso, essere additato come un caso raro, uno che riesce a
starsene fuori dai giochi, che ancora è capace di pensare le cose con la
propria testa, senza seguire le reti sociali o le televisioni che indottrinano
continuamente masse complete di persone ignare di tutto. Io non rispondo un bel
niente, e forse questo tizio crede che stia in qualche modo cedendo alle sue
lusinghe, così insiste con questi argomenti, fino al punto in cui mostrando
indifferenza mi alzo dal tavolo, gli stringo la mano con cordialità, per pura educazione,
e poi me ne vado, spiegandogli soltanto che tutto ciò che ha inteso dirmi non
mi interessa.
Però
tutti i presenti, ed anche coloro che mi incontrano adesso per strada, sembra proprio
che vedano in me un’altra persona, un tipo importante, uno che aveva sempre
detto delle cose da seguire con estrema attenzione. Sono fregato penso; o forse
no.
Bruno
Magnolfi
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