Ho chiesto al mio capo
di uscire un po’ prima oggi dal lavoro. Non perché abbia qualcosa di urgente o
importante da fare, ma per provare quel senso di libertà che a volte mi manca.
Potrò ritrovarmi da solo nel parcheggio davanti al palazzo degli uffici,
mettere in moto con calma la mia vettura, uscire dal perimetro destinato agli
impiegati della pubblica amministrazione, senza neppure dover salutare gli
altri mentre salgono sulle loro macchine, ed andarmene lasciando i miei colleghi ancora curvi sulle
proprie scrivanie. Non è una fuga quella che cerco, soltanto un allontanarmi
con indifferenza da questa massificazione che ci vede tutti come
individui identici.
Posso farmi un giro
senza fretta, fermarmi in un locale per lasciarmi servire un aperitivo
stuzzicante; potrei anche andare a comperare qualcosa in qualcuno dei miei
negozi preferiti, e per esempio scegliere degli alimenti per cucinare stasera,
del pane fresco, una bottiglia di vino buono, come se avessi davvero qualcosa
da festeggiare. Rientrare a casa però resta sempre il mio momento preferito,
l’attimo preciso in cui le chiavi girano facendo degli scatti nella serratura,
e la porta del mio appartamento che si apre come uno scrigno davanti ai miei
occhi.
C’è il mio gemello che
mi aspetta da qualche parte in mezzo ai mobili: a lui piace nascondersi al
fondo di una stanza o di quell’altra, e poi lascia che io lo cerchi, che ne avverta la
presenza, fino a quando, ormai scoperto, lui mi osserva in silenzio con la sua
espressione solita, così rassicurante e preziosa. Non gli dico niente,
naturalmente, però lui sa benissimo che non saprei mai stare da solo, ed
affrontare ogni giornata come invece devo fare, per poi magari pensare che non
c'è un riferimento preciso per me, qualcuno a cui rivolgermi, un’indicazione per
le mie piccole idee che mostrano sempre la necessità di una valutazione attenta.
Poi me ne disinteresso di lui,
proseguo ad occuparmi delle mie cose, sedermi a leggere un libro, ascoltare un
programma radio, riordinare i piccoli oggetti che spesso lascio in giro quando
al mattino vado di fretta per staccarmi dalle mura della mia casa ed andare ad
infilarmi nel solito ufficio, dove non c’è neppure molto di cui occuparsi, e tutti
si raccontano tra loro qualche cosa di personale, ed io mi sento però più solo
di tutti, tanto che non vedo l’ora di tornarmene in mezzo alle mie cose. Lui se
ne sta da qualche parte senza dare fastidio, spesso mi dimentico perfino della
sua presenza, anche se è proprio quando torna prepotente il mio desiderio di
confronto con qualcuno, che lui di nuovo salta fuori, pronto a concedermi la
sua opinione su tutto ciò che serve.
Perché è esattamente questo che mi
manca qualche volta, un’opinione obiettiva che indichi quali siano i miei
possibili sbagli, la mia incapacità di trovare da solo delle soluzioni
accettabili. Certe volte sottovoce, lungo il corridoio dove tutti gli impiegati
del mio piano si ritrovano per prendere il caffè, ho tentato di dire che non
abito proprio da solo, che c’è il mio gemello in casa con me, ma tutti hanno
preso sempre questa affermazione come una banale battuta spiritosa, e nessuno
mi ha mai chiesto altro a riguardo. Perciò non parlo più di questo argomento con
nessuno, perché è bene che le mie cose siano sempre confinate dentro di me,
senza bisogno di cercare di spiegarle a degli estranei. Anche il mio gemello è
d’accordo su questo, ed anche se non me lo dice in modo diretto, io ne sono
ormai più che sicuro.
Bruno Magnolfi
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