Purtroppo
sono solo. Mi guardo attorno lentamente, mentre ancora mi trattengo lungo la
strada, davanti a questo palazzo, dove abito in due stanze d’affitto senza
grandi pretese. Mi fermo davanti al vecchio portone, e con la chiave in mano
cerco qualcosa intorno a me, da qualche parte, qualsiasi cosa che mi permetta
di restare per qualche minuto ancora qui, su questo marciapiede, dove ogni
tanto transita qualche persona senza fretta, certe volte anche qualcuno che
conosco, e che forse ha voglia di intrattenersi insieme ad uno come me, a
parlare magari semplicemente del tempo, o del più e del meno, o anche di
qualsiasi altra sciocchezza riesca in questo momento a passargli per la testa.
Ma stasera sembra proprio non ci sia nessuno, neanche uno tra coloro che forse
potrebbero, perché sembra quasi che tutti quanti abbiano deciso da qualche
tempo di evitarmi, proprio come forse si fa con un qualsiasi noioso solitario,
giudicandolo anche leggermente effeminato, come dicono molti in questo
condominio, uno che si attacca facilmente agli altri pur di non sentire il
morso della propria differenza solitaria.
Così prendo coraggio ed apro il
portone, preparandomi ad una serata vuota, priva di interessi, da combattere a
cavallo tra le mie abitudini e le pareti indifferenti del mio piccolo
appartamento, e mentre sto per affrontare le scale in modo quasi svogliato,
qualcuno all'improvviso mi chiama dalle spalle, quasi per tentare nei miei
confronti un piccolo e prezioso salvataggio. Mi volto, ma davanti a me c'è
soltanto una donna che conosco, una vicina sempre indaffarata che adesso sembra
anche arrabbiata per qualche motivo che non mi è del tutto chiaro. “Non c’è più
rispetto per nulla”, dice lei in fretta venendomi quasi incontro; “ho perduto
il portamonete durante il pomeriggio, non più di una mezz’ora fa, e forse mi è
caduto quando ho dato un soldo ad un ragazzo di colore che vendeva fazzoletti,
e magari è soltanto colpa mia che l’ho mal riposto dentro la mia borsa, non
saprei dire; oppure mi è stato sgraffignato con destrezza, magari mentre me ne
stavo al mercato, a comperare la verdura. Se mi è caduto, qualcuno però poteva
corrermi dietro e riconsegnarmelo magari, in fondo all’interno ci stavano
soltanto pochi spiccioli”.
Non so che dire, non vorrei
proprio che questa donna prendesse una delle solite sfuriate che fanno tutti
contro gli stranieri che secondo loro vengono qua a rubare chissà cosa, così mi
offro immediatamente di accompagnarla per andare insieme a lei a cercare
traccia del suo borsello lungo il percorso che ha compiuto poco prima. “Si, va
bene”, dice subito la donna; “la ringrazio tanto, perché per quanto mi riguarda
ho già perso ormai tutte le speranze di rivederlo, nonostante fosse un oggetto
a cui ero legata”. Così torniamo sulla strada, lei si affanna a spiegarmi cosa
abbia fatto, chi abbia incontrato, che cosa sia successo mentre camminava da
una parte all’altra del nostro quartiere.
Infine, mentre camminiamo,
ritroviamo quel ragazzo di colore di cui la donna parlava poco prima, ancora
con i fazzoletti, ed anche il suo borsello in mano, perché ci spiega subito con
parole un po’ stentate di averlo trovato a terra già da un pezzo, ma di non
sapere come rintracciarne la legittima proprietaria. "Grazie,
grazie", dice la donna che adesso si sente quasi commossa per quel gesto,
anche se controlla subito se per caso adesso mancasse del suo contenuto, ma
regalando alla fine una moneta a quel ragazzo generoso. Torniamo in questo modo
verso il nostro condominio: "lei porta fortuna", mi dice la donna. Mi
sento strano in queste vesti insolite, però accetto volentieri il complimento,
considerato che l'affermazione contraria cucita addosso ad uno come me, si
dimostrerebbe un vero disastro. “Va bene, lo prendo come un complimento”, le
rispondo; e forse è proprio così, in questo modo esatto come dice lei, ma probabilmente
soltanto perché tutti quanti spesso sentiamo proprio la mancanza di un pizzico
almeno di fortuna vera”.
Bruno Magnolfi
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