“Non
è più aria per me”, dice lui sorridendo ad un amico che incontra certe sere
mentre porta fuori il suo cucciolo canino. “Al capo della ditta ho fatto
assumere un paio di ragazzi che al momento non sanno fare quasi niente, ma poco
per volta impareranno senz'altro qualcosa, e tra non molto saranno più o meno pronti
per portare avanti le cose anche da soli. L’impresa poi è piccola, non ci vuole
molto per gestirla. Contemporaneamente io mi guardo in giro, faccio qualche
telefonata, sondo il terreno, ed appena scappa fuori la proposta più allettante
circa un posto di lavoro per capo geometra di cantiere, magari in qualche
grosso appalto nel circondario di questa città, immediatamente me ne vado,
senza mettere in mezzo troppi preamboli”.
La serata è bella, il cane
continua a fiutare strane piste lungo file di angoli e di alberi intorno a
tutto il vicinato. Lui è sereno, i suoi posti di lavoro li ha sempre visti come
momenti di rapida preparazione a qualcos’altro, fin da quando ha iniziato da
giovanotto col portare la borsa a quei palazzinari degli anni buoni, quando
certi personaggi avevano un grande potere incontrastato, talmente potenti da
farsi vedere solo raramente sui cantieri, dei veri miti, tanto supremi
dirigenti del lavoro da riuscire a rendere la loro presenza tra gli operai praticamente
inutile.
“Non me ne è interessato quasi
niente fin da subito delle sorti di questa azienda”, dice ancora. “Certo, ho
cercato di far andar le cose per il verso giusto, ho avuto sempre un occhio di
riguardo per gli utili di impresa nelle mie contabilità, per lasciare
costantemente dei soldi in banca al nostro capo, e forse qualche volta ho
strizzato un po’ la mano d’opera, tagliando via agli operai qualche
straordinario dalla busta paga, dimenticando ed omettendo dei rimborsi,
facendoli dormire in qualche ruvida baracca quando c’era da lavorare in luoghi
di trasferta. E poi ho sempre lesinato su tutte le sicurezze di cantiere e sui
vari corsi antincendio, tutta roba inutile, senza alcun seguito”.
Intanto si accende una sigaretta,
richiama il cane con un fischio, si volta e torna a sprofondare le mani nelle
tasche. “Fanno tutti così”, dice in un soffio al suo amico. “Non c’è mai da
meravigliarsi; tutto quello che è possibile fare per fregare qualche quattrino
al prossimo, se conosci l’ambiente, è messo bene in evidenza soprattutto sui
cantieri di edilizia. Piccole cose, se l’azienda è piccola. Enormi cifre se
invece è grande”. L’altro sorride, immagina che il suo vicino di casa certe
volte esageri, però gli piace sentirlo parlare delle sue esperienze di lavoro,
perché si rende conto sempre più che c’è tutto un mondo ignorato completamente
da chi non fa parte del settore.
“Primo o dopo comunque, dovrò
iniziare a pensare al mio secondo futuro”, prosegue il geometra. “Non posso
certo proseguire fino alla pensione a stare con i piedi dentro alle scarpe
antinfortunistiche, e a trattare ogni giorno con operai che a volte non sanno
neanche scrivere. Mi troverò un ufficio come tutti i miei predecessori, e mi ci
infilerò dentro a passare il tempo al caldo durante tutto l’inverno,
consultando progetti e sezioni di impalcati, senza dannarmi più l’anima per
tenere testa a qualche piccolo imprenditore con idee talmente grandi da non
riuscire a contenerle. Non c’è niente di male in tutto ciò, il mio è un
mestiere da nomade: stare fermo in un posto solo fino a quando è necessario, e
poi via, al più presto, verso altri luoghi il più possibile diversi”.
L’amico sorride in silenzio, in
sostanza senza riuscire a comprendere fino in fondo quelle scelte così
particolari; il cane in quel momento torna indietro e si accosta ai due nella
luce dei lampioni, praticamente dopo aver annusato tutto il territorio
circostante; poi si fa rimettere il guinzaglio come per una sorta di abitudine,
con normalità, senza minimamente protestare, quindi si prepara esattamente come
il suo padrone a rincasare: la serata ormai è finita, sembra riflettere; domani
forse ci potranno essere persino delle fresche novità.
Bruno Magnolfi
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