Alla fine della mattinata di lavoro mi sento un po’
nervoso, come se non riuscissi a stare neanche un minuto di più seduto alla mia
scrivania. Ho un appuntamento con una collega che conosco soltanto
superficialmente, alla fine dell’orario di lavoro; forse per altri non sarebbe
niente di speciale questa faccenda, ed anche io lo faccio giusto per andare con
qualcuno a fare quattro chiacchiere con calma in qualche locale della zona.
Peraltro ancora mi chiedo come mai questa mia collega abbia accettato il mio invito
senza farmi delle domande, né porre qualche obiezione, considerato che anche
per me è stato un puro caso essermi trovato nel corridoio da solo con lei. Non
ho grandi aspettative per quanto potrà accadere, anzi credo proprio non ci
potrà essere nessuno sviluppo, ma in fondo sono un uomo che vive da solo, e in
ogni caso in questo momento mi basta stringere anche qualche semplice conoscenza
per superare il malumore che mi porto dietro.
Suona l'apparecchio telefonico sopra la mia
scrivania a fine mattinata, ma inizialmente non ho voglia neppure di
rispondere, visto che la maggior parte delle volte sono semplicemente i
colleghi di lavoro che si divertono a fare qualche scherzo. Alla fine però alzo
il ricevitore come è mio dovere, e dico pronto. È lei, dal piano superiore del
palazzo dove si trova il suo ufficio, e mi spiega in due parole che per non
scatenare dei pettegolezzi ritiene meglio andare ad aspettarmi al caffè
Cartabianca, un locale poco lontano dal nostro posto di lavoro. Rispondo che va
bene, “verso le cinque sarò lì”, le dico in fretta, e lei riattacca subito,
così mi guardo intorno come aspettandomi che qualcuno casomai avesse in qualche
modo ascoltato la nostra conversazione. Tra questi uffici regna un indubbio
covo di vipere, ed io non avevo riflettuto al rischio di farci parlar dietro,
anche soltanto mostrandoci nell’uscire assieme dagli uffici, alla fine dell’orario
di lavoro.
Lei peraltro è una
donna sposata, io la vedo da anni mentre entra o esce dall’edificio dove
ambedue lavoriamo, ed indubbiamente, per come mi ha risposto, già da tempo
nutre la voglia di intrattenersi senza impegno con qualche collega, magari
soltanto per curiosare tra le opinioni che serpeggiano al mio piano, e non è
per niente stabilito che abbia in mente una vera relazione. In ogni caso devo
essere pronto ad ogni evenienza, e cercare il più possibile di stare al gioco,
qualsiasi esso sia. Mi trastullo con qualcosa che vado cercando dentro ai
cassetti, poi all'ora di pranzo scendo assieme agli altri nella sala mensa per mangiare.
Parlano tutti di calcio, e a me che non interessa affatto, non resta che
starmene in silenzio a guardare nel mio piatto.
Penso che le cose per
me possono farsi differenti se soltanto riesco ad instaurare dei rapporti
amichevoli. Mi piacerebbe qualche volta andare ad un cinema in compagnia,
oppure a cena con qualcuno. In fondo trovo che sia già sufficiente che mi
mostri ai miei colleghi un poco più socievole, meno chiuso come forse sono
sempre stato fino ad oggi. Mentre ci penso mi capita di sorridere di me stesso
e dei miei proponimenti, perché gli altri che sono al mio tavolo mi guardano
con un certo sospetto, ed uno mi chiede se per caso intorno a noi ci sia qualcosa
di divertente che loro non riescono a vedere. Assumo la mia vecchia espressione
di indifferenza, e senza rispondere lascio che ridano di me, se proprio ne
hanno voglia.
Quando arriva l’ora
di andarsene dagli uffici, esco in fretta nel parcheggio, senza neanche
guardarmi troppo attorno, avvio il motore della mia utilitaria, e mi indirizzo
verso il caffè. Spengo il motore appena lì davanti, scendo, mi guardo attorno,
poi mi decido ad entrare dentro al locale. Lei non c’è, così mi siedo ad un
tavolo appartato ad aspettarla. Forse non verrà, penso. Troppo difficile un
passo del genere. Troppo sciocco uno come me, pronto sempre nel credere a
tutti.
Bruno Magnolfi
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