Basta, mi sono detto.
Devo uscire da questa situazione asfissiante in cui sono caduto. È sufficiente
cambiare leggermente tutto ciò che mi è capitato di pensare fino ad oggi, e
guardare al futuro in altro modo. Per prima cosa ho preso il mio piccolo
specchio, quello che chiamo fratello, e l’ho nascosto in fondo ad un cassetto.
Non tanto perché non voglio più vederlo ed usarlo, quanto perché non desidero
che lui, in questo frangente, si immagini minimamente cosa cerco di fare.
Voglio avere le mani libere, starmene da solo a meditare con serietà su ciò che
vedo di fronte.
Così sono andato in ufficio senza la cravatta,
vestito in modo semplice, la camicia fuori dai calzoni e senza indossare la
giacca consueta. Alcuni mi hanno osservato in modo diverso dal solito, ma
nessuno ha voluto esprimere dei veri commenti. Ed a metà mattina ho preso il
corridoio con fare risoluto, e con un foglio in mano che giustificasse il mio
comportamento, ho preso rapidamente le scale per raggiungere il piano superiore
dell'amministrazione pubblica, quello dove gli impiegati sono quasi tutte
donne. Naturalmente mi hanno salutato, anche senza far pesare troppo i loro
sguardi, e qualcuna di loro sorridendo mi ha guardato e ha detto subito che mi
trovava proprio bene, finalmente senza la giacca e la cravatta.
Sono andato fino in fondo al corridoio, dove ci
sono le macchinette del caffè di quel piano, e come immaginavo ci ho trovato
due impiegate che stavano chiacchierando con tranquillità. Ci siamo salutati e
dopo un attimo una delle due è tornata nel suo ufficio mentre l’altra è rimasta
a terminare la bevanda che aveva in mano. Così ho detto subito che avevo
bisogno di un favore non di tipo lavorativo, e lei mi ha guardato come per
farsi spiegare di cosa si trattasse. “Vorrei uscire con te uno di questi
pomeriggi al termine dell’orario di lavoro, magari per andarci a prendere un
aperitivo da qualche parte ed iniziare a conoscerci un po’ meglio”. Lei è
rimasta in silenzio per un attimo, poi, dopo aver distolto lo sguardo come per
cercare qualcosa attorno, mi ha risposto: “potrebbe essere anche domani, al
momento che si va via da queste stanze”.
Ho detto subito che per me andava benissimo, e lei
dopo un momento ha gettato il bicchierino di carta nel cestino e dopo un saluto
è tornata verso la sua scrivania, lasciandomi la scia di un sorriso complice e amichevole.
Non avevo mai fatto una cosa del genere fino a quel momento, però mi sono subito
sentito bene, soddisfatto. Mi sono anche reso conto che dentro di me stavo ancora
tremando, perciò sono tornato subito verso il mio ufficio, e poi mi sono messo
a riguardare qualche pratica, giusto per non dover incrociare lo sguardo di
qualcuno tra tutti i miei colleghi.
Quando finalmente è giunto il momento di strisciare
il cartellino nella macchinetta, e poi di abbandonare il palazzo degli uffici,
mi sono diretto verso il parcheggio dove avevo sistemato la mia utilitaria, ed
ho subito visto che la mia collega avanti a me si stava intrattenendo vicino al
portone principale a parlare con un’altra, perciò ho finto di aver fretta e le
ho immediatamente superate, anche se ho immaginato che lei la stesse avvertendo
dell’invito appena ricevuto, soprattutto per non farsi pizzicare il giorno
seguente ad uscire quasi di nascosto dal lavoro insieme ad un impiegato come me,
un comportamento sicuramente giudicato poco usuale e soprattutto molto
sospetto.
Poi ho raggiunto il mio appartamento, ma
contravvenendo a molte delle mie abitudini non sono andato affatto a tirar
fuori il mio specchio per interpretare sulla mia faccia qualche commento
stridulo, ed al contrario ho iniziato a pensare ad un locale non troppo vicino
al palazzo dell’amministrazione, verso cui dirigermi il giorno seguente con la
mia collega.
Bruno Magnolfi
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