lunedì 16 settembre 2019

Espressione.


      

            Non capisco; mi guardo attorno mentre cammino e qualche volta non so più neanche chi sono. Osservo nei dettagli la mia ombra fluttuante durante queste mattine assolate della domenica, o quando certe volte nei giorni feriali mi ritrovo nel parcheggio riservato agli impiegati, di fronte al palazzo dell’amministrazione pubblica dove lavoro, e mi pare che dentro a questa forma scura e curvilinea che vedo a terra, ci possa essere chiunque, senza una caratteristica riconoscibile. Mi fermo a riguardare bene quella macchia buia sull’asfalto, e mi pare a tratti addirittura di vederci dentro qualcuno che probabilmente neppure conosco, senza neanche una definita impronta di genere. Non so se è proprio qualche sconosciuto, quello che appare alla luce di questo sole di fine stagione, oppure se possa essere esattamente io, qualcosa di più simile a quello che riflette il mio specchio quando sono tranquillamente in casa mia. La mia faccia adesso ha qualcosa di femminile, inutile negarlo, anche se nessuno per il momento sembra accorgersene troppo.
            Forse anche nel mio modo di camminare o di esprimermi con gli altri c’è qualcosa su cui non ho mai riflettuto profondamente. Può darsi sia proprio per questo motivo che non ho mai avuto delle vere e proprie amicizie, soltanto conoscenze superficiali; magari perché l’ambiguità di qualcosa che chissà da quando traspare dalla mia persona, qualche volta è stata reputata inaffidabile, anche se non mi sono mai accorto di nulla. Nelle ultime notti mi sono ritrovato a svegliarmi di scatto dentro al letto, con dei pensieri foschi nella testa, delle idee decisamente oscure, qualcosa che al mattino però mi ha fatto subito sorridere, tanto mi è apparso sinceramente assurdo. Se mi guardo nello specchio ritrovo quasi sempre il mio gemello che mi guarda con il suo fare sornione, uguale agli anni passati, ed il pensiero che traspare dalla mia immagine di fratello e di congiunto, è sempre positiva, accondiscendente, capace di aiutarmi come sempre ha fatto.
            Mentre sono in ufficio ad occuparmi di qualcosa, osservo gli altri impiegati che cercano di far trascorrere il loro tempo in fondo ai corridoi, vicino alle finestre a fumare o a prendersi un caffè, tra le chiacchiere usuali, e certe volte qualche risata mezzo soffocata. Mi trovo quasi ad invidiarli, mentre rivestono perfettamente la loro identità, nel momento esatto in cui stanno assieme, solidali, consci del loro ruolo e dello sforzo di socializzazione che, sono convinto, deve essere effettuato per forza in un luogo precisamente come questo. Per quanto mi riguarda continuo a starmene da solo, isolato e taciturno, ma non per scelta, bensì per attitudine, per una assodata incapacità a sentirmi uno qualsiasi, uno proprio come tutti gli altri. Torno in bagno e dentro allo specchio la mia faccia ha la solita espressione di ogni giorno, incompleta, indefinibile, incapace di darsi una vera natura ed una soluzione a tutti i quesiti che prosegue a porre.
            Mi piacerebbe alzare la testa da questa scrivania, uscire dal mio piccolo ufficio mentre gli altri stanno ancora lì, nella perenne attesa della fine dell’orario di lavoro, e urlare senza indugio qualcosa che li scuota tutti quanti, che mostri ciò che non hanno mai visto fino adesso, li faccia sobbalzare sulle loro certezze sedimentate, scardini finalmente con una parola solo quel pensiero che hanno di me e persino di se stessi, mostrando un nuovo fine, un diverso traguardo, un modo di osservare tutto quanto che forse non avevano mai preso in considerazione, e mi tramuti improvvisamente in una persona inaspettata, differente dalle loro consuetudini, lontana dai modelli imposti tra questi corridoi. Ma poi rifletto subito che non ho proprio alcun interesse nel far questo.

            Bruno Magnolfi

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