“Mi
sento come esaurita”, dice lei alla dottoressa mentre resta seduta ed immobile,
con lo sguardo basso. Non ha compreso neppure lei stessa il motivo per cui è voluta
venire proprio oggi in questo antipatico ambulatorio a raccontare una cosa del
genere ad una persona a suo parere capace soltanto di prescrivere farmaci
contro il dolore oppure qualche antibiotico, ed il fatto adesso di non
guardarla neppure negli occhi la salva comunque dal fatto che questa donna che
ha di fronte sia davvero un medico, in quanto secondo lei potrebbe forse sedersi
chiunque oltre questa chiara ed anonima scrivania, chiunque abbia una minima
volontà per mettersi ad ascoltare una persona da sola con parecchi problemi da
risolvere. Perché più che di farsi dare un’opinione su questi suoi malesseri,
lei adesso ha soltanto voglia di spiegare a qualcuno che non sta bene, che certe
volte si sente perduta, che non prova nessuna speranza per il futuro, e che è vuota
di ogni volontà.
E’ una
donna di poche parole peraltro, per cui strascica un po’ quella prima frase che
le è giunta alla mente, senza muovere alcun altro muscolo, e poi un attimo dopo
si acquieta, ancora senza alzare lo sguardo, forse nell’attesa che la
dottoressa la sproni chiedendole qualcosa di più. Generalmente comunque non le
piacciono molto le domande dirette, ed anche quando qualche volta arriva fino
al solito circolo associativo delle donne, in una stradina poco lontano da casa
sua, a coloro che salutandola le chiedono come stia in quel periodo, risponde quasi
sempre a voce bassa che si sente benissimo, proprio per non alimentare
ulteriori domande. In questo caso comprende benissimo che la dottoressa che ha
di fronte desidera senz’altro conoscere meglio quanto si è decisa a venirle a spifferare
su di sé, ma probabilmente, nella comprensione medica del suo disagio, adesso attende
con semplicità che sia lei a parlarne, come di propria spontanea volontà.
Trascorrono
così un paio di minuti di completo silenzio, l’altra si annota qualcosa su di
un taccuino sopra al piano della scrivania, lei aspetta che da dentro le venga
qualche frase da dire, così come certe volte si sta a bocca aperta sopra ad un
secchio, nell’attesa impellente dell’urto di vomito. Quindi solleva lo sguardo
un momento, e poi: “ho soltanto voglia di dormire”, le dice, come se una
rivelazione del genere si mostrasse esaustiva rispetto ad ogni altro argomento.
Magari potrebbe spiegarle da quanto tempo va avanti questa cosa, oppure se c’è
qualche elemento durante la giornata che le scatena più di altro queste sue sofferenze,
o addirittura se ha cercato negli ultimi tempi di fare qualcosa per cercare di
scrollarsi di dosso questo suo stato, ma adesso sembra aver d’improvviso
ritrovato il silenzio come miglior disposizione ad ogni altra evenienza.
Nel
corridoio, davanti alla porta chiusa della piccola stanza in cui loro due si
trovano adesso, qualcuno passando sembra parlare con voce spigliata, sicuro di
sé, forse convinto di non dare fastidio a nessuno. Lei aggiusta qualcosa nella
sua borsa che tiene sopra le gambe, getta una semplice occhiata sul piano dello
scrittoio dove la dottoressa prosegue a scrivere le sue annotazioni, infine si
alza con una certa lentezza da quella sedia, come per andarsene e riprendere
con sé tutti quegli argomenti che le pare di aver snocciolato completamente di
fronte a quell’altra. “Aspetti”, dice dopo un attimo il medico, come
risvegliata all’improvviso da quel suo gesto. Lei però sistema la sedia,
controlla ancora qualcosa all’interno della sua borsa, forse le chiavi, il
borsello, gli oggetti usuali ch porta sempre con sé; poi compie mezzo passo
verso la porta, ed alla fine appoggia la sua mano calda sulla maniglia, come se
non avesse nemmeno sentito quanto le ha chiesto la sua dottoressa. Finalmente, quasi
con titubanza, si gira di tre quarti verso quella che col suo camice bianco
adesso si è messa in piedi, e la sta osservando forse con curiosità da dietro
la sua scrivania. “Perché”, le fa; “deve forse dirmi qualcos’altro?”.
Bruno
Magnolfi
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