“Non
preoccupatevi per me”, dico ogni tanto per avvertire gli altri quando sembrano
agitati. “Sto bene; i movimenti che compio corrispondono davvero a quello che
penso”. Certo, non si può pretendere molto di più da chi si tiene continuamente
al margine di tutto ciò che accade, e che sembra costantemente defilarsi rispetto
ad alcuni luoghi troppo frequentati durante il succedersi della giornata. Ma lo
sanno tutti che non è colpa di nessuno se non credo alla volontà collettiva, al
gesto generalizzato, all’insieme delle tante persone che si sperticano cercando
di dare il proprio contributo ad un’idea che poi spesso nessuno di loro
minimamente ha nella testa. Trovo debole la riflessione per cui si dice che
l’insieme faccia la forza, o perlomeno credo si debba indagare meglio su ciò
che tiene realmente incollati questi individui.
Giro
per strada quasi sempre a tarda ora, lungo direttrici un po’ fuori mano,
fermandomi a bere un bicchierino soltanto in certi locali perlopiù deserti,
dove a nessuno in genere viene mai a mente di chiederti qualcosa. Mi sento a
posto, non ho bisogno di sposare una causa o di legarmi ad una cordata per
sentirmi davvero utile. Ho un amico che non vedo e non sento da anni, però
credo che vada bene così, nessuno di noi due sente la necessità di scambiarsi
opinioni frivole oppure degli aggiornamenti su quello che rispettivamente ci
accade nel corso di questo tempo imperturbabile. Esistono dei legami per i
quali non ha alcuna importanza dare dimostrazione di sé ogni poco.
Naturalmente
non sono un individualista, uno che prosegue ad accentrare ogni riflessione
possibile sopra di sé e con questo filtro osservi tutto il resto. Sono soltanto
uno che se ne sta fuori dalla mischia, e crede che molti al contrario ci
sguazzino all’interno soltanto perché non possiedono una propria personalità,
ed è così che si fanno scudo di pensieri presi a prestito, andando avanti senza
avere mai troppe cose proprie da dare a chi sta loro intorno. Per questo sono
malvisto, e più tendo ad isolarmi più mi isolano. Eppure con superficialità
tornano in tanti a chiedermi come mi vadano le cose, se stia davvero bene, se
abbia deciso qualcosa per il mio futuro oppure no. “Tutto a posto”, dico senza
astio. “Davvero, non ho bisogno di nulla”.
Infine
incontro questa tizia che parla con grande naturalezza della sua solitudine, e
di come viva male il fatto di essere giudicata come una persona strana. “Mi
pare non ci sia niente di cui preoccuparsi”, le fo. “Oggi tutti stanno assieme
per sorreggersi l’un l’altro; avere dei sostegni propri è già una gran
fortuna”. Lei mi guarda, sorride, probabilmente pensa cose diverse dalle mie,
però le piace il mio modo di porre la questione. Decidiamo di entrare in un
posto dove si beve birra senza impegno, così ci sediamo e lei inizia a
raccontarmi qualcosa di sé, tanto per fare conoscenza. Dopo un attimo mi pare
già una grande noia questa sfilza di fatti che srotola con calma. “Sai”, le fo tanto
per interrompere le sue parole. “Credo che dovresti lavorare maggiormente sulla
spontaneità; evitare modi risaputi, espressioni troppo usuali, spiegare tutto
come si fosse dentro ad una videoconferenza”.
Lei adesso mi guarda con una smorfia un po’ da offesa, però non ribatte
niente, lascia correre, forse soltanto sta pensando meglio a quello che le ho
detto.
Usciamo,
adesso va trovata la maniera per salutarci senza essere esageratamente bruschi
nel farlo, così le dico che posso fare la sua strada almeno per un pezzo, ma
lei dice che ha la macchina e che possiamo separarci anche in questo preciso attimo.
“Va bene”, le dico, “come vuoi; non vorrei averti deteriorato un’idea di me che
ti eri fatta”. Lei ci pensa. “No, tutt’altro”, mi fa. “Anzi, ti ringrazio,
quello che mi hai detto mi è molto utile, devo soltanto pensarci con più
calma”. “Va bene”, fo io; allora ti aspetterò dentro la birreria una di queste
prossime sere, tanto per sapere se le mie sciocchezze ti sono state utili
davvero”.
Bruno
Magnolfi
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