Soprattutto per
educazione, ma anche proprio per formazione culturale, lui, quando si trova a parlare
di qualcosa, lo fa sempre a nome di qualcun altro, mai esponendo direttamente il
suo pensiero o la propria opinione. A volte si ritrova a citare alcuni
scrittori ed intellettuali del passato, quelli che conoscono più o meno tutti,
e generalmente sempre gli stessi, nel caso che gli argomenti in ballo naturalmente
ne reclamino i precetti, quasi a mostrare così un percorso di riflessioni
coerente con coloro che hanno orientato da sempre il pensiero generale, ma in
particolare, e in speciale misura quando si ritrova nei corridoi lungo i quali
svolge ogni giorno il proprio lavoro, dice con convinzione le medesime cose di
cui normalmente parla il suo capo, il ragioniere Gianni Berletti, impiegato
proprio come lui negli Uffici Amministrativi Comunali. Non c’è neppure una
ragione precisa che lo spinga in qualche modo a comportarsi così, ma è come se
le proprie opinioni, ammesso che davvero ne abbia qualcuna nella sua testa, non
mostrassero alcuno spessore, tanto da fargli decidere una volta per tutte di
prendere a prestito quelle di altri, e soprattutto quelle del suo superiore,
oltre che, ma più raramente, quelle di sua moglie.
Non ne fa neppure un
segreto di questo comportamento volto a riaffermare le stesse cose dell’altro,
tanto che agli inizi, quando era appena stato inserito tra le forze di quel
settore dove si trova adesso a prestare la sua opera, giungendo da parecchi
anni di lavoro come semplice usciere, al momento in cui era stato quasi
ridicolizzato dai suoi nuovi colleghi per quel suo spudorato comportamento, lui
aveva continuato, parlando già con le sue frasi praticamente copiate, a sorridere
a tutti, come a mostrare che quei suoi strani modi erano parte integrante della
sua natura, niente di particolarmente diverso. In seguito gli altri avevano
cominciato a prendere l’abitudine a quella sua prassi, tanto da arrivare a non
farci quasi più caso, ed anzi a richiedere a lui in modo piuttosto diretto, almeno
da un certo punto in avanti, quali potessero essere i pareri, su una cosa o
sull’altra, proprio del suo capo, il ragioniere Gianni Berletti.
Inutile porgli delle
domande precise su di sé, o cercare di farlo cadere in un qualche tranello: lui
in qualsiasi caso non si scompone, dice sempre quello di cui ha già sentito
parlare qualcun altro, oppure in mancanza di dati più certi, quello che
verosimilmente potrebbe essere stato già detto dal suo capufficio. Il
ragioniere Gianni Berletti naturalmente si limita a sorridere della situazione
che si è creata poco per volta, non prendendo mai troppo sul serio questo
inusuale comportamento, ma col tempo ha comunque iniziato a fargli sempre sapere,
al suo sottoposto, esattamente quello che desidera sappiano tutti nel settore
di sua competenza. Lui fa cenno di si con la testa, poi prende per il corridoio
e va ad inserire la sua moneta nella macchinetta per sorbirsi un caffè, e a
chiunque trovi in quei pressi confida esattamente quello che gli è stato detto,
sena omettere né aggiungere niente.
Giorni fa il
ragioniere Gianni Berletti lo ha mandato a chiamare, lo ha fatto sedere davanti
alla sua scrivania, gli ha sorriso come sempre, e poi gli ha chiesto su che cosa
stesse lavorando in quella mattina. “Ripongo le cartelle in archivio per numero
di pratica”, dice subito lui, “come mi avevate chiesto di fare già ieri”.
“Bene”, fa il ragioniere, “ed allora cosa c’entra adesso andare in giro a dire
che ti è stato assegnato un compito di grande importanza direttamente dal tuo
capufficio? E’ un impegno qualsiasi, un lavoro che chiunque potrebbe fare,
anche se nessuno si offre mai spontaneamente per farlo. Oggi lo fai tu, come
adesso mi confermi, ma domani potrebbe toccare a chiunque, ed è inutile da
parte degli altri cercare di riderci sopra”. “Va bene”, fa lui; “ho capito
benissimo. Se qualche collega per caso desiderasse occuparsene, io non mi dovrò
mai opporre”.
Bruno Magnolfi
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