<<Come va oggi, signor
Corradino?>>, sento dire da qualcuno sul pianerottolo davanti all'entrata
del mio appartamento; perciò, naturalmente ben attento a non provocare alcun
rumore, metto subito l'occhio allo spioncino della porta, giusto per rendermi
conto di chi sia stato a parlare nell’ingresso condominiale, e con voce anche
piuttosto alta. Vedo così che in questo momento Corrado sta rientrando in casa,
e la signora Trecci del terzo piano, scendendo le scale del nostro palazzetto,
si è fermata per un attimo proprio davanti a lui, probabilmente essendo già a
conoscenza dei problemi di salute che tormentano il mio dirimpettaio. Lui, nel
riferirsi a quella donna, fa all’inizio la sua solita risatina, sicuramente per
schernirsi e togliere, com’è sua normale abitudine, almeno una parte di importanza
a ciò che gli sta effettivamente capitando, e quindi le risponde cortesemente,
con calma e a bassa voce, che oggi gli pare i suoi malanni si siano in parte
calmati, e che si sente maggiormente in forze, senza entrare comunque in alcun
dettaglio medico. La vicina, così come la vedo io dalla mia scarsa visuale, con
la sua immancabile borsa al braccio e l’espressione di chi ha compreso
perfettamente tutto quello che gli è stato detto e forse anche di più, a questo
punto lo saluta, e poi prosegue con naturalezza verso il portone del palazzo,
tre gradini più in basso, mentre Corrado, con la sua busta in mano con dentro
probabilmente delle medicine appena acquistate in farmacia, gira la chiave
nella serratura ed entra nel
proprio appartamento.
Negli ultimi giorni lui non mi ha
più detto niente, anche se ad essere sinceri non è nemmeno capitato di
incontrarci sul pianerottolo, oppure per strada, e neppure tra i nostri
rispettivi giardinetti; forse le sue condizioni di salute lo portano sempre più
a ritirarsi in una nicchia propria di solitudine che non prevede troppi
interlocutori mi immagino, e quindi credo proprio che stia compiendo
quell’operazione quasi normale in un caso come il suo, cioè quella di mettersi
in un angolo e di attendere gli eventi, senza stare a parlarne troppo con
nessuno. Ho immaginato che con ogni probabilità la sola persona tra i suoi
parenti che prosegue a chiamarlo al telefono per avere notizie fresche e dargli
magari qualche conforto, ammesso che lei abbia questa capacità, sia la sua
cugina Angelica; ma non c'è neppure troppo da scommettere che sia del tutto
così. Perciò sentirei quasi un mio compito, in qualità di suo vicino di casa e
conoscente diretto, di suonare il campanello di Corrado e tentare di portargli
almeno qualche minuto di compagnia, anche se cerco di rimandare di giorno in
giorno questo mio piccolo dovere, che comunque avverto come pressante dentro di
me, quasi diventasse, ogni volta che ci penso, sempre più improrogabile, quasi
un vero obbligo morale. In fondo, se ci rifletto meglio e considero tra me ogni
cosa, proprio per aggiustare meglio questa sensazione, io non gli devo niente
al signor Corrado; e poi vorrei proprio vedere a parti inverse se lui si stesse
a preoccupare per me nella stessa esatta maniera come faccio io per lui.
Così, tormentato comunque da questa personale
necessità, dopo mezz'ora prendo e vado a suonare il campanello di Corradino, e
lui mi apre volentieri accogliendomi subito con un bel sorriso ed invitandomi
ad entrare in casa
sua. Poi prepara del caffè, tanto per dare sottolineatura alla mia visita, ed
insiste nel farmi sedere sulla sua poltrona preferita, per poi raccontarmi, con
i suoi modi spicci eppure timidi, che sta facendo una cura un po’ pesante che
lo mette fuori uso almeno per un giorno o due la settimana, ma per il resto
tutto gli sembra vada praticamente quasi come sempre. Poi dice, come avevo già
immaginato, che di tutti quei parenti che ha, è soltanto la sua cugina Angelica
a chiamarlo al telefono ogni tanto, <<ma va bene così>>, si
affretta a dire, <<visto che praticamente non ho bisogno di nulla; come è
sempre stato, d’altra parte>>. Dopo dieci minuti me ne vado, con le
raccomandazioni del caso, che comunque mi paiono persino superflue, anche se
rientrando in casa mia provo all’improvviso una pena insolita, in
relazione al mio carattere, quasi una vera sofferenza;
la netta sensazione, comunque la si voglia considerare, di estrema solitudine, qualcosa
che, se devo dirla tutta, tra le mie tante abitudini ormai cristallizzate, non
avevo mai provato o riflettuto tanto a fondo, come invece mi trovo a fare in
questo preciso scorcio di giornata.
Bruno Magnolfi
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