A quell’epoca ero soltanto un
ragazzo, però mi era sembrato ad un certo momento di poter parlare già come un
adulto, tanto da essere capace di affrontare argomenti a volte anche complessi,
mettendomi in mostra, quando potevo, con qualcuno dei miei insegnanti di
scuola, e continuamente, quasi con naturalezza, con i miei compagni di classe,
usando paroloni che leggevo e che studiavo su dei vecchi libri che conservavamo
in casa nostra sopra alcuni scaffali. Difatti succedeva, in molti casi, che i
ragazzi di mia conoscenza si mettessero in circolo, tutti in silenzio ad
osservarmi e ad ascoltarmi in maniera piuttosto interessata, specialmente
quando dicevo che a mio parere c’erano molte cose che non andavano bene nel
mondo, e che oramai si sentiva la necessità di cambiare la testa di chi aveva
in mano il potere, anche se forse quei miei amici sapevano perfettamente che
ero sempre stato un tipo un po' introverso, tanto che finivano quasi sempre col
far finta di nulla, togliendo in questo modo tutto il peso e l'importanza che
forse avrebbero anche potuto assumere quei miei discorsi.
Mi pareva di conoscere quasi tutti
nel mio rione, perché a quell’epoca si poteva dire che noi ragazzi si cresceva
praticamente per strada, visto che i nostri genitori, fin da quando si era
piccoli, sicuramente assorbiti da tanti problemi spesso di natura economica,
non si erano mai davvero preoccupati di noi e delle nostre giornate. Eppure,
nel periodo a ridosso dell’adolescenza, avevo iniziato io stesso ad ascoltare
più attentamente chiunque mostrasse un minimo di volontà per fermarsi a dire
qualcosa proprio a me, o anche semplicemente a qualcuno lì vicino, imparando in
fretta a rivolgere a tutti delle domande particolari, sempre coerenti,
formulate a mio parere con spiccata intelligenza, al punto da non permettere
facilmente ai miei conoscenti di trattarmi come un qualsiasi ragazzino poco
maturo. <<Dario>>, mi chiamava qualcuno dal marciapiede dove mi
intrattenevo, ed io naturalmente rispondevo con prontezza, ed anche con un
sorriso radioso, d'altronde conoscevo quasi tutti per nome, e molti nel
quartiere sapevano perfettamente chi fossi e quale fosse il mio nome.
<<Sono preoccupato>>,
dicevo a volte con voce forte; <<mi pare che tutto proceda troppo in
fretta, e che tutti noi, con tanti discorsi che abbiamo voglia di fare, non
avremo mai alcuna possibilità di cambiare minimamente il corso delle
cose>>. <<Stai studiando per diventare un grande saggio>>, mi
diceva qualcuno con una risata, ma io mi facevo serio, perché quello che mi
trovavo ad affermare credevo di pensarlo veramente, non foss’altro per averne
letto qualcosa su quei libroni di casa appartenuti a mio nonno. Poi, durante un
periodo qualsiasi, smisi di uscire dalla mia stanza per qualche giornata, tanto
che alcuni oramai si chiedevano se fossi malato, o che cosa mai mi fosse
accaduto, ma infine tornai davanti al solito circolino dove si trovavano sempre
tutti, a spiegare con espressioni sempre più serie che avevo dovuto tentare di
farmi ricevere da quelli che all’epoca contavano molto, per spiegare loro
direttamente quanto il futuro mi stesse preoccupando. Dissi addirittura che mi
avevano persino ascoltato quelli del Comune, e che un giornalista locale, da
quelle parti per puro caso, mi aveva fatto persino un'intervista completa,
tanto erano parsi importanti i miei argomenti. Non era vero niente,
naturalmente, ma la mia spavalderia, semplice copertura alla timidezza
congenita, mi aveva spinto oltre ogni immaginazione, fino a falsificare la
realtà.
Dissi alla fine che un grosso membro
del partito più popolare e conosciuto all’epoca, mi aveva chiesto di prendere
la loro tessera, per farmi militante di quell’organizzazione, esattamente come
aveva fatto lui, ma a quel punto venne chiesto proprio a qualcuno che
frequentava quell’ambiente, se fosse vero ciò che affermavo, e così in poco
tempo tutti iniziarono a ridere di me, e a non credere più ad una sola parola
di ciò che avevo affermato fino a quel momento. Il mio declino giunse così
all’improvviso, ed io dovetti rinchiudermi da quel momento in avanti in un
ostinato silenzio, dimenticare i paroloni che avevo imparato ad usare, senza
peraltro neppure saperne del tutto il significato, e a togliermi quell’aria da
spavaldo che avevo fatto aderire sopra il mio viso infantile, come fosse una
maschera. Evidentemente persi tutti coloro tra i miei compagni che in qualche
modo avevano creduto davvero nelle mie capacità, e in breve tempo mi ritrovai
da solo, colmo di vergogna, e incapace addirittura di replicare a qualsiasi
battuta spiritosa mi veniva detta dietro.
Bruno Magnolfi
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