Ci
sono dei giorni in cui mi trovo a ripensare al mio periodo di matrimonio con
Laura, prima della nostra definitiva separazione. Fin da quando l’ho conosciuta
lei mi è sempre apparsa taciturna, silenziosa, distaccata, talvolta anche in
quelle occasioni in cui magari ci si sarebbe aspettati dal suo comportamento un
maggiore entusiasmo. Agli inizi per me non era affatto un problema, ed anzi,
comprendevo benissimo la sua maniera riservata di confrontarsi con gli altri e
con me, tanto da evitare di chiederle, come forse sarebbe tornato naturale, se
ci fosse stato qualcosa a suo parere che non andava per il verso giusto. Aveva
sempre uno sguardo come interessato ai dettagli meno evidenti, quasi che la sua
attenzione fosse destinata non a chi aveva vicino, ma a coloro che restavano
maggiormente nascosti al suo campo visivo, forse un comportamento mutuato dalla
sua lunga attività di maestra d’asilo. Alla stessa maniera, in certi rari casi,
tirava fuori una voce forte e un po’ stridula, probabilmente abituata a richiamare
a sé l’attenzione dei bambini meno obbedienti, coloro che si sentivano liberi, almeno
nelle ore scolastiche, di comportarsi nei modi più disordinati, e quindi
irrispettosi dei compagni e degli insegnanti. Comunque, non parlava mai troppo
neppure del suo lavoro, limitandosi a dirne ogni tanto generalmente qualcosa di
negativo, soprattutto per la grande stanchezza mentale che le derivava dal
dover stare tutto il giorno a contatto con un’infanzia che, proprio per età,
mostrava spesso con naturalezza dei comportamenti poco razionali.
Personalmente,
una volta compresi appieno questi elementi, cercavo di non porre mai a lei
delle domande dirette su qualcosa che la riguardasse, ed avevo presto imparato
a parlare con Laura quasi soltanto di argomenti generici, lasciando ai suoi
desideri la possibilità di spiegarmi giusto qualcosa, e se ne aveva davvero la
voglia. Naturalmente, a quell’epoca lavoravo già nell’agenzia immobiliare, e
così quando rientravo nel nostro appartamento durante il tardo pomeriggio,
tanto per allontanare un po’ quel silenzio che si veniva immancabilmente a
creare tra noi due, a volte cercavo di descrivere la personalità di qualche
cliente a cui magari avevo fatto visitare un immobile, soffermandomi su qualche
particolare che più di altri mi aveva colpito. Lei mi ascoltava, certe volte
sorrideva di quei miei discorsi, ma normalmente non mi rivolgeva mai delle
domande dirette, mostrando di non essere in fondo neppure troppo curiosa di
quei miei incontri così vari. A quell’epoca, al posto di Elisabetta, nel
lavorare con me in agenzia, c’era suo padre, persona già anziana e di antica
impostazione professionale, che per fortuna ben presto lasciò completamente quell’attività
che aveva inaugurato addirittura negli anni del dopoguerra, intestando tutto alla
figlia, non prima di averle ovviamente insegnato i segreti che a suo avviso
costituivano la nostra attività. Perciò, in quel periodo, dopo essere stato per
anni dipendente del padre, diventai, a pari condizioni lavorative, un sottoposto
della figlia, senza poter neppure manifestare alcuna opinione in merito.
Con
Laura spesso si andava con la nostra utilitaria a farci qualche passeggiata in
campagna, almeno durante le domeniche di bel tempo, e in certi casi si restava
a cena in un ristorante alla buona, subito fuori città, dove avevano imparato a
conoscerci e ci trattavano perciò come dei vecchi clienti. Mi piaceva quel
rilassamento progressivo davanti al tavolino, e spesso cercavo, magari con
qualche scusa infantile, di trattenerci il più a lungo possibile in
quell’ambiente così casalingo, dove ci portavano volentieri dei dolcetti, il
caffè, un dito di liquore, e tutti quanti intorno a noi parlavano con grande
diletto, pur sottovoce, rispettando gli altri clienti ed il lavoro dei
camerieri. Forse eravamo stati un po’ frettolosi nel prendere la decisione di
sposarci, però in quel momento ci era parso che tutto per noi si stesse
mettendo in maniera positiva, e siccome avevamo qualche soldo da parte,
pensavamo che probabilmente non ci sarebbe stato in futuro un periodo
altrettanto favorevole. E poi avevamo passato ambedue la soglia dei trent’anni,
ed aspettare ancora ci sarebbe parso quasi ridicolo. Tutto tornava insomma, e
sulla base di questo entusiasmo le cose andarono benissimo per almeno un anno, quasi
due. Poi ci fu un allontanamento progressivo l’uno dall’altra, e in quel
periodo più cercavo di interrogarmi sul motivo di quanto accadeva, più perdevo
di vista qualcosa di importante.
Negli
ultimi tempi sembrava proprio non avessimo quasi più niente da dirci, ed ognuno
di noi due silenziosamente mandava avanti le proprie cose senza neppure
interpellare l’altro, tanto che la gara che si era come impostata, era quella
di starsene separatamente il più possibile fuori da casa. Non litigammo mai,
non se ne presentò neanche in quei momenti un vero e valido motivo per farlo, ma
quando lei decise di andarsene, sembrò ad ambedue una vera liberazione.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento