Oggi
resto a casa. L’agenzia immobiliare per cui lavoro in questo giorno è chiusa,
per il resto non ho altri impegni, e nessuno tra tutti coloro che conosco si
aspetta di vedermi sbucare all’improvviso. Certe volte mi chiedo il senso che
abbia questo solitario combattimento giornaliero contro un nemico impalpabile,
inafferrabile, che non si riesce neppure a descrivere, anche se condiziona
costantemente l’esistenza. Mi muovo lentamente da solo nelle mie tre stanze
d’affitto, e intanto penso per scherzo che potrei barricarmi accatastando
qualche mobile a ridosso del portoncino d’ingresso, in maniera da non
permettere a nessuno di venirmi a disturbare. Ho dei viveri in cucina che posso
far durare per parecchie giornate, magari razionando accuratamente le scorte; e
comunque, staccando il telefono e il campanello del portoncino che dà sulle
scale del condominio, posso riuscire ad evitare lo sfondamento delle forze
dell’ordine o dei vigili del fuoco per un tempo anche piuttosto lungo. Per il
momento non ho delle armi, però potrei procuramene, e in ogni caso posso
affilare per bene qualche lungo coltello da cucina, in maniera da prepararmi a
qualsiasi possibile attacco dall’esterno. Tenere fuori da qui tutto quanto,
questo è il mio scopo principale in questo momento. Potrei affacciarmi ad una
finestra ed urlare sulla strada delle frasi provocatorie e sconsiderate, a un
certo punto, perché se nessuno si interessa di me non c’è proprio alcun fine
per tutto quanto, e potrebbe capitare che trascorrano anche dei mesi prima che
i vicini si accorgano del forte odore di cadavere che giunge alla fine dal mio
appartamento.
“Vi
ho fregati”, potrei far trovare scritto da qualche parte, forse su un muro bianco
già pieno delle mie frasi buttate lì con un pennarello scuro e indelebile. Ma
ad evitare che qualche piccolo giornalista locale mi descriva, il giorno
seguente al ritrovamento, semplicemente come un povero pazzo, devo trovare
delle ragioni sufficienti a dimostrare che non voglio più essere parte di
questo meccanismo privo per me di qualsiasi significato. Rido da solo, parlo a
voce alta, mi muovo a scatti, gesticolo con le braccia come tenessi un comizio
di fronte a decine di persone, per incoraggiarle il più possibile alla lotta,
perché niente si può ottenere se non si ha un seguito, un grosso numero di
individui disposti a sostenermi, convinti come me che non si può più andare
avanti in questa maniera, che dobbiamo chiudere con questo sistema malato. Poi
mi tranquillizzo e mi siedo. La solitudine certe volte gioca dei brutti
scherzi, devo assolutamente cercare di conservare il massimo della razionalità,
riflettere costantemente su quanto devo fare, e mettere in fila ogni elemento,
in maniera da poter affrontare ogni giorno che nasce con un uso sempre adeguato
di un metodo, quello che permette di ottenere il massimo del risultato con il
minimo sforzo.
Qualcuno
bussa leggermente al mio portoncino di casa, così apro rapidamente per poi trovarmi
di fronte la mia vicina di pianerottolo preoccupata per gli strani rumori che
le sono giunti alle orecchie dal mio appartamento. D’altra parte, queste case
sono state costruite con delle pareti talmente sottili che diventa impossibile
mantenere una propria riservatezza, e le mie esternazioni di poco fa hanno
subito provocato delle conseguenze, forse non solo nei confronti di questa
donna curiosa. La rassicuro, le spiego che va tutto bene, mi sono soltanto
scaldato un po’ nel corso di una telefonata con un amico, ma discutevamo
soltanto di cose stupide, senza una grande importanza. Lei mi guarda evitando
di assumere un’espressione troppo convinta, e prima di ritirarsi verso le proprie
stanze, getta un’occhiata oltre le mie spalle, ad assicurarsi, per ciò che
riesce a vedere, che quello che le ho appena finito di dire sia davvero
accettabile e soprattutto non in contraddizione col resto. Chiudo la porta dopo
i saluti, poi indosso una giacca ed esco immediatamente di casa: una bella
camminata nell’aria fresca è quanto ci vuole per smaltire il nervosismo che ho
accumulato negli ultimi tempi. Percorro lo stretto marciapiede stradale a passi
ampi e anche rapidi, in maniera da allontanarmi velocemente dal mio condominio.
Dovrei cambiar aria, rifletto, prendermi un periodo di riposo ed andarmene da
qualche parte dove non mi conosce nessuno, e in questo luogo prezioso cercare
di farmi rapidamente delle nuove amicizie, conoscere delle persone che siano
del tutto diverse da quelle che adesso sono costretto ad incontrare ogni
giorno.
Potrei
salire su un aereo, piombare in una nazione di cui non conosco neppure la
lingua, trovarmi costretto soltanto per mezzo dei gesti a chiedere agli altri
tutto ciò che mi possa essere utile e perfino necessario. Sarebbe una bella esperienza,
rifletto; basterebbe soltanto che non avessi da preoccuparmi del mio lavoro,
delle persone che conosco, della mia vita corrente, insomma.
Bruno
Magnolfi
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