Sono
entrato nell’aula scolastica dietro le spalle della maestra, ed ho atteso
paziente che lei si sedesse alla cattedra, e che tutti quei ragazzi di fronte
si accomodassero nei loro rispettivi banchi. Naturalmente in mezzo a quelle
tante espressioni diverse ho cercato subito Paolo con lo sguardo, e l’ho notato
intento a sistemare qualcosa tra suoi quaderni e tra le tante matite. In
seguito, lui ha alzato gli occhi su di me, come mi vedesse per la prima volta,
e d’improvviso ha detto con voce alta: <<Non ho niente da dirti!>>,
senza che nulla di particolare ne giustificasse sia quella uscita né tantomeno
quelle sue quasi enigmatiche parole. La maestra si è alzata dalla sua sedia con
i braccioli, lo ha osservato un momento, poi gli ha chiesto con calma che cosa
intendesse dire, e soprattutto a chi si riferisse, rivolgendosi al ragazzo ora
intimidito e con la sguardo basso, ma lui si è giustificato con delle parole
confuse e comunque chiedendo subito di essere scusato per il suo gesto nervoso.
Io sono rimasto quasi immobile accanto alla parete, pur invisibile a tutti, ma
mi sono reso conto di aver commesso un imperdonabile errore nello spingere i
miei ricordi fino a quel punto.
Poi la
lezione è iniziata, io mi sono mosso lentamente nell’aula, ma senza mai andare
troppo vicino al banco di Paolo, nella paura di suscitare in lui qualche altra
reazione negativa, pur accorgendomi della forte attenzione con cui seguiva ogni
parola della sua insegnante. Infine, approfittando dell’arrivo del custode
venuto a consegnare una circolare della direzione, sono uscito dall’aula e poi
dalla scuola, ritrovandomi in Via delle Matite esattamente come la ricordavo,
con quell’aria di polvere fina in sospensione nei raggi del sole, appena al di
sopra dei tetti delle case basse là attorno. I piccoli alberi piantumati da
poco ed ancora sorretti da qualche sostegno, sembravano già sofferenti, e le
strade asfaltate di fretta mostravano già qualche avvallamento più scuro per
via dell’umidità filtrata dalla terra di riporto costipata là sotto. Ho fatto
un piccolo giro nei dintorni, ma alla fine ho pensato che il mio proposito di
attendere l’uscita scolastica di tutti i ragazzi a fine mattinata fosse
solamente una sciocchezza, così mi sono svegliato quasi di soprassalto dentro
al mio letto, e sono rimasto sotto alle coperte, nell’attesa di alzarmi
definitivamente.
Ho cercato
qualcosa nella mia stanza, ed ho visto alla fine che Paolo mi aveva già raggiunto,
adesso restando fermo comunque sulla soglia della mia porta, senza guardarmi,
come nell’attesa che fossi io il primo a rivolgergli la parola. Mi sono alzato,
ho inforcato delle ciabatte, ho indossato una giacca da camera, e quindi sono
andato verso di lui. <<Non devi seguirmi>>, mi ha detto lui con
determinazione. <<Nei tuoi ricordi io devo essere solamente una
parentesi, una sfumatura lontana, qualcosa che non appare mai definito>>.
Sono andato nella piccola cucina del mio appartamento e mi sono preparato del
caffè, considerato che avendo coperto il turno di notte in albergo, anche se
oramai erano quasi le dodici, in ogni caso per me era ancora soltanto il
momento del risveglio. In quell’attimo stesso Paolo è scomparso, come se il
corso ordinario della giornata non fosse qualcosa di adatto alla sua
personalità. Ho pensato comunque che forse in qualche modo lui avesse ragione:
troppo lontani i nostri periodi per cercare ancora delle assonanze tra i nostri
differenti scorci di vita, anche se d’altra parte ho sempre continuato ad
essere convinto che molte di quelle radici costituite dentro di me derivassero
direttamente da lui stesso. Quando sono uscito da casa per andare a mangiare
qualcosa in un a rosticceria tavola calda poco lontano da casa, mi sono sentito
un po’ più solo, quasi rinnegato dal mio passato di adolescente.
<<Ravioli
panna e prosciutto>>, ho detto alla ragazza dietro al bancone, e lei mi
ha sistemato nel solito tavolo minuscolo addossato ad una parete, sistemando sul
piano una tovaglietta di carta e qualche stoviglia. Ho osservato il niente che
avevo di fronte, ed ho avuto voglia di avere qualcuno per farmi compagnia, e
quando ho ripensato a Paolo e alla sua scuola mi è sembrato di provare un senso
di nostalgia che non conoscevo, e che appariva del tutto fuori luogo in questo
momento. Quando poi il ragazzo si è seduto di fronte a me, gli ho detto che il
mio era soltanto un pensiero passeggero, che non doveva sentirsi costretto a
restare, se non lo desiderava. Paolo è rimasto in silenzio, ha guardato il mio
pasto triste, poi ha detto soltanto: <<mi dispiace certe volte essere
duro con te; però non puoi ancora immaginare di poter cambiare qualcosa delle
tue giornate solo con delle incursioni inefficaci nella tua adolescenza. Io
adesso mi sento grande, libero, capace di decidere ciò che voglio del mio
futuro, e tu non puoi far niente per evitare che tutto questo accada
davvero>>.
Bruno
Magnolfi
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