Il mio vicino di casa mi ha
avvertito: <<Dobbiamo essere tolleranti, d’accordo; ma non si può
lasciare che qualcosa di insopportabile prosegua ancora ad accadere, come se
noi fossimo disposti ad accettare qualsiasi sgarbo senza mai dire un bel niente>>.
Lo osservo con attenzione, mentre ambedue restiamo in piedi sulla soglia del
mio appartamento, e comprendo dai suoi gesti nervosi che ha ormai raggiunto una
fase personale piuttosto delicata. Noi due siamo dei buoni dirimpettai di
pianerottolo, e quindi ci conosciamo da un pezzo, ma non è colpa mia, rifletto,
se nell’appartamento al piano superiore del nostro condominio si è installata
da qualche tempo una nuova famiglia di affittuari un po' rumorosa, e in special
modo durante la notte, in quelle ore in cui io fortunatamente mi trovo a
lavorare in albergo, non ritenendomi perciò disturbato da loro, almeno non nella
stessa maniera in cui mi riferisce questo mio conoscente. Per lui invece è una
questione estremamente importante, ed adesso poi aggiunge per questo che è
persino disposto a fare intervenire le forze dell’ordine. Personalmente non ho
un buon rapporto con le guardie, soprattutto per i miei trascorsi; perciò,
preferirei tentare di risolvere la questione in maniera meno ufficiale, cioè,
facendo semplicemente presente ai confusionari che non è il caso di andare
avanti ancora così. <<Ci devi parlare tu>>, fa adesso il mio
vicino, <<altrimenti io perdo facilmente le staffe e va a finire che
riesco a compromettere tutto>>. Annuisco, anche se non ho alcuna voglia
di intraprendere una discussione su questi temi, né col mio vicino, né con la
famiglia incriminata. Alla fine, riesco a rassicurare quest’uomo che mi rimane
di fronte, normalmente calmo e gentile, e poi a chiudere la porta di casa alle
sue spalle dopo averlo in parte convinto delle mie buone intenzioni.
Durante il giorno non ci deve essere
nessuno nell’appartamento del piano di sopra, rifletto, difatti non avverto mai
grossi rumori o cose del genere; però durante la tarda serata, quando tra
l’altro i sensi per tutti si fanno più attenti e sensibili, ecco che questa
famiglia si anima e sembra addirittura scatenarsi, urlando e muovendo mobili e
oggetti sul proprio pavimento. Sorrido, alla fine è persino una cosa sciocca
quella che sono chiamato a fare, però aspetto con pazienza l’ora di cena e poi
mi presento all’uscio del piano superiore, bussando leggermente alla porta. Mi
apre una donna in vestaglia, alle sue spalle tre o quattro bambini curiosi, e
sullo sfondo intravedo un uomo piuttosto corpulento e poco rassicurante. Spiego
in fretta le mie ragioni, e chiedo con cortesia la loro comprensione per tentare
una convivenza condominiale il più possibile serena, ma vengo guardato in malo
modo, senza che mi venga neppure offerta una vera risposta. Imbarazzato, ripeto
quello che ho appena finito di dire, ma la donna abbandona la sua posizione,
lasciandomi sulla soglia con i suoi bambini che mi guardano come se fossi un
extraterrestre. Alla fine, lentamente, me ne vado, e dopo un attimo sento
chiudere di colpo la porta alle mie spalle. Quello che dovevo fare, penso
mentre scendo le due rampe di gradini, credo di averlo già fatto.
Mentre mi cambio gli abiti,
preparandomi ad uscire di casa per raggiungere il mio posto di lavoro, mi rendo
conto che quella famiglia del piano superiore potrebbe essere formata da alcuni
dei miei parenti. Uno di quei bambini che ho visto, difatti, potrebbe
tranquillamente essere mio padre, una volta fattosi grande, che difatti aveva
dei fratelli, e quindi la donna che mi ha aperto l’uscio potrebbe essere
tranquillamente mia nonna. Il giorno seguente, in orario comodo per me, suono
il campanello del mio dirimpettaio, e gli faccio subito presente quanto è
accaduto, spiegandogli però che là dentro abitano brave persone, e che noi
dobbiamo essere tolleranti, perché hanno i loro guai, e che non è il caso di
farne una tragedia. Lui mi guarda, poi forse decide che non è neppure il caso
di ribattere, ma in quel momento io sbotto: <<Sono miei parenti, non
fanno niente di male, uno dei bambini tra qualche anno diverrà mio padre, ed io
sento che non posso dire o fare niente contro i miei familiari>>. Il mio
vicino annuisce, e lentamente inizia chiudere la porta, senza aver pronunciato
una sola parola. <<Sono brave persone>>, dico ancora a voce alta
all’uscio ormai chiuso; <<sono soltanto un po' confusionari>>.
Quindi mi volto e rientro nel mio appartamento. Seduto in un angolo c’è il
ragazzetto che viene spesso a farmi visita, il piccolo Paolo, il me stesso di
tanti anni fa. <<Stai sbagliando>>, mi spiega. <<Non è in
questo modo che potrai riuscire a trovare della solidarietà, oppure addirittura
a farti degli amici. Sei solo, devi esserne cosciente, e soltanto in questa
maniera puoi fare fronte alla tua giornata>>. Stavolta sono io a restare
in silenzio. Cosa aggiungere, peraltro, mi chiedo; tutto è già definito, posso
soltanto accettare questa realtà; e nient’altro.
Bruno Magnolfi
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