Ricordo,
mentre come ogni volta svolgo il mio compito di portiere di notte in questo
albergo turistico, che durante gli ultimi giorni di scuola media, dopo due anni
che quasi non l’avevo più vista, incontrai un pomeriggio ad una piccola festa, dentro
ad un appartamento dove mi ero recato solo per fare numero, come desideravano i
miei compagni di classe, ma con la ferma idea in testa di stare qualche minuto con
loro e poi subito andarmene via, la mia vecchia amica Marta, adesso ben vestita
e coi capelli nerissimi e sciolti sopra le spalle. Non dissi niente quando la
vidi, non mi feci neppure notare, ma fu lei che, con un gran sorriso sulla
faccia, venne subito verso di me, sfiorando le sue labbra con le mie e dicendo
a voce alta: <<Ecco il mio amore!>>. Rimasi immobile, stregato, i
miei genitori stavano già compiendo il trasloco di appartamento, ci si
trasferiva in città, una volta terminato l’anno scolastico, ed io ero talmente
contento di andarmene da quella cittadina dove, da quando ero nato, non ero
riuscito a farmi neppure un amico, che tutti i ragazzi che mi circondavano
apparivano oramai ai miei occhi quasi trasparenti, tanto riuscivo ad ignorarli.
Quel paese
era il frutto sbagliato di un piano regolatore ideato da una persona come
minimo ubriaca, oppure da un pazzo: i soldi erano stati forniti a pioggia per
chi aveva preso la residenza in quel luogo composto nei decenni passati
soltanto da un borgo contadino, e le nuove case popolari progettate intorno a
quel nucleo, tutte simili una all’altra, erano state tirate su con dei mutui
individuali a fondo perduto, al punto che una volta intascati i quattrini, in
molti avevano lasciato le abitazioni non terminate, volgendo le spalle a quella
cittadina fantasma composta da scheletri di palazzetti e da strade tracciate
alla meglio. Tutto l’intero centro abitato era poi stato pensato in funzione di
una grande scuola per i bambini e per i ragazzi, l’enorme edificio di via delle
matite, dove io avevo svolto fino ad allora tutti i miei studi, anche se negli
ultimi anni gli studenti di ogni classe avevano iniziato a farsi sempre più
scarsi. Anche la mia famiglia alla fine aveva deciso di andarsene, anche perché
mio padre, con il suo duro lavoro di camionista, era riuscito a mettere da
parte i soldi sufficienti per permettersi un piccolo appartamento nella vicina
città, ed io, quando se ne era parlato anche con la mamma, mi ero dimostrato
talmente entusiasta all’idea di lasciare per sempre quel luogo, che sarebbe
stato impossibile per loro ritirare quella proposta.
Per un
minuto o anche due non riuscii a dire niente, ma lei mi abbracciò con grande
calore, ed io mi ritrovai a sorriderle con l’espressione di uno stolto, completamente
travolto da qualcosa di assolutamente impensabile. Sapevo che aveva avuto un
ragazzo, un tipo per nulla simpatico, e si era fatta vedere in giro con questo
tizio per qualche mese, fino a quando era sparita, quasi risucchiata, avevo
pensato io, da quella relazione per lei estremamente esclusiva. Era normale che
mi fossi disinteressato completamente di Marta, ed anche se l’anno precedente
mi era sembrata ancora una ragazza verso la quale nutrire qualche speranza, in
seguito ogni pensiero su di lei mi era svanito dalla mente, evaporato, quasi come
se non fosse mai neppure esistita. Adesso, all’improvviso, eccola qui, con
degli atteggiamenti che non mi aspettavo e dei quali non la credevo neppure capace,
tanto che non sapevo proprio cosa rispondere, quale comportamento assumere per
non apparire un idiota e nient’altro. Poi lei salutò qualcun altro, rise di
qualche battuta di spirito che intanto era stata formulata, girò per la stanza come
se fosse perfettamente a proprio agio, e in un attimo probabilmente si
dimenticò del tutto della mia presenza. Sgattaiolai fuori dall’appartamento
come peraltro avevo già deciso di fare, perdendo volutamente del tempo lungo le
scale, nella speranza che Marta mi rincorresse, o si ricordasse all’improvviso
di me, ma niente di tutto questo parve accadere, ed io mi ritrovai lungo la
strada senza altra voglia se non quella di tornare alla svelta dai miei
genitori.
Forse fu il
suo modo, sicuramente bizzarro, di darmi così il proprio addio, ho pensato in
seguito e a lungo molte volte, anche perché non ho più avuto modo di
incontrarla di nuovo, ed anche questo sembra quasi qualcosa già perfettamente
deciso in precedenza, fino a lasciarmi convincere che era assolutamente meglio
così piuttosto che trascinare la nostra conoscenza nei tempi a seguire. Forse
fu quello il momento in cui la sentii a me più vicina, nonostante avessi, durante
l’anno precedente, già riconosciuto, nei suoi comportamenti, qualcosa che non
collimava affatto con la mia personalità. Però mi piacque in quell’ultimo
incontro il suo gesto e la sua espressione, e devo riconoscere che, se qualche
volta mi sono ricordato di Marta con un certo piacere, è stato proprio grazie a
quella volta finale, come fosse stato un simpatico e completo azzeramento di
ogni possibilità ancora in campo.
Bruno
Magnolfi
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