Stamani l’impiegata
al ricevimento dell’albergo dove lavoro si è presentata come sempre
puntualissima, dandomi un saluto sorridente e incoraggiante, forse anche in
considerazione del fatto che trascorrere tutta la notte in questo pur vasto
ingresso restando sempre sveglio e vigile, come sono chiamato a fare io, non è
esattamente l’attività più esaltante tra tutte quelle che si possono compiere.
Le ho risposto con il mio abituale saluto, le ho dato tutte le consegne e
spiegate le scarse novità registrate durante la nottata, poi, al momento di
andarmene, mentre intanto prendevano posizione i facchini ed il resto del
personale della mattina, mi è venuto voglia di dirle: <<Qualche volta, io
e te, si potrebbe anche vederci fuori da qui, e magari prendere un caffè senza
avere addosso queste divise di lavoro>>. Clara mi ha guardato con
un’espressione un po' perplessa, io e lei ci conosciamo oramai da diversi anni,
però non abbiamo mai scambiato molte parole tra di noi, oltre quelle necessarie
per svolgere il nostro ruolo. <<Tu sai che io sono sposata>>, mi ha
detto con la sua abituale schiettezza, ed io immediatamente ho rettificato
l’invito sorridendo: <<Ma certo>>, le ho detto, <<non volevo
mica spingermi così avanti da proporti chissà cosa, solo scambiare due
chiacchiere in un locale qualsiasi, quello che preferisci tu>>. Lei ha
sollevato lo sguardo dai registri aperti sopra il banco del ricevimento, ed ha
accennato ad un nuovo sorriso aperto, e poi mi ha detto: <<D’accordo,
magari abbiamo anche più cose in comune di quelle che si potrebbero immaginare
ad una prima impressione. Ti lascio il mio numero telefonico, così possiamo
fissare il giorno migliore per tutt’e due>>.
Quindi sono uscito, dapprima con
un’impressione positiva di quanto appena detto, ma subito dopo vergognandomi un
po' della mia sfacciataggine. Di fatto, la vera vergogna che mi prende in casi
come questi, è quella di mostrare con evidenza a qualcuno la mia solitudine, la
mia scarsissima capacità di intessere delle relazioni interpersonali con gli
altri. Per nessun motivo al mondo vorrei generare un moto di pena verso di me,
per cui il pensiero di aver suscitato un sentimento del genere nella mia
collega poco per volta mi ha fatto sentire a disagio, fuori sintonia, insomma
sempre più in crisi. Così ho continuato a riflettere a lungo sulle mie parole e
sulla risposta ricevuta, e addirittura avrei voluto tornare indietro per dire a
Clara di dimenticare ciò che le avevo chiesto, come se non ci fosse mai stata
alcuna richiesta da parte mia. Pensandoci meglio, ciò che avevo desiderato
provare con lei era solamente la mia personale capacità di spiazzare gli altri,
di suscitare con solo due parole una sorpresa improvvisa in chi non si
aspetterebbe mai da me una cosa di quel genere. Quindi mi sono avviato
lentamente verso la mia abitazione, tentando di cancellare dai miei pensieri la
sicura brutta impressione generata in quella ragazza brava e dedita al proprio
lavoro.
Una volta in casa mi sono seduto,
e subito ho notato questo ragazzo, sopra un terrazzino che resta dirimpetto
alla mia finestra. Sembrava impegnato a mettere in ordine dei vasi da fiori, e
non si interessasse di nient’altro, ma quando ha alzato lo sguardo verso di me ho
visto che ero io stesso, qualche decennio addietro. Occuparmi degli oggetti,
più che delle persone, è sempre stata una mia prerogativa, così non mi sono
affatto meravigliato che lui adesso fosse impegnato a togliere qualche foglia
secca da quei gerani e a versare un po’ d’acqua nella terra. Mi sarebbe
piaciuto dargli una mano, in silenzio, ed occuparmi anche io di quelle piante
fiorite, così ho aperto la finestra, e nel far questo gli ho fatto un cenno di
saluto. Lui, che era posizionato con un ginocchio a terra per compiere quelle
piccole attività, dopo che mi ha fatto un piccolo cenno con la mano, si è subito
sollevato, come se avesse ormai terminato ciò che aveva in mente di fare, e
senza più guardarmi è rientrato nella propria abitazione. Io ho appoggiato i
gomiti sopra al davanzale, senza decidermi a fare qualcosa di particolare, se
non osservare la strada sottostante poco trafficata, quasi nell’attesa che
Paolo tornasse a farsi vedere e magari mi rivolgesse la parola.
Niente però è successo, ma quando
sono rientrato ed alla fine ho chiuso la finestra, mi sono reo conto che lui
era lì, dietro di me, seduto comodamente e con lo sguardo verso la parete.
<<Perché non riesco a comportarmi adeguatamente con gli altri?>>,
gli ho chiesto come se fosse una sua precisa responsabilità; e Paolo allora mi
ha guardato, è rimasto un attimo in silenzio, e poi, come fanno i ragazzi alla
sua età, ha sollevato le spalle, a dimostrare che non aveva alcuna risposta da
darmi. <<Per me è stato sempre naturale>>, ha detto dopo un po’.
<<Non mi sono mai forzato ad essere diverso da come sono sempre stato>>.
Io allora ho annuito, poi mi sono mosso per andare a prendere dei succhi di
frutta in cucina, per me e per lui, ma quando sono tornato ho visto che Paolo ormai
non c’era più.
Bruno Magnolfi
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