lunedì 30 settembre 2024

Ancora possibile.


            I due ragazzi all’improvviso sembrano ritagliarsi, all’interno di ogni giornata che vivono, uno spazio proprio, come potessero annullare tutto quello da cui sono circondati: la scuola, i compagni, gli insegnanti, la famiglia, ogni persona ordinaria con cui vengono normalmente in contatto. Si cercano, in qualsiasi momento in cui possono farlo, e poi si sorridono, pur senza mai esagerare, con deboli espressioni del viso la cui interpretazione sembrano conoscere solamente loro, ed infine pare addirittura non siano sufficienti a ciascuno dei due le parole correnti ordinarie e risapute in grado di esprimere la loro vicinanza, ed allora restano accanto e in silenzio, in maniera da non dover condividere con nessun altro, magari con le orecchie lunghe e troppo curiose, i propri sentimenti. Non sono andate realmente così le cose, tra loro due, a quei tempi della scuola di via delle Matite, ma in ogni caso dentro la memoria è come se tutti quegli anni passati fossero ripensati e plasmati in funzione di un’idea differente, e quindi modificati, fino a far apparire un comportamento che forse non avevano mai neppure avuto intenzione di tenere tra loro.

            Marta, dentro ai ricordi, adesso appare sorridente, disponibile, aperta a comunicare i suoi sentimenti, e Paolo, perduta una parte almeno della propria timidezza, sembra improvvisamente apprezzare ogni momento che riesce a condividere con lei. Tutto è cambiato, ambedue non sembrano neppure gli stessi ragazzi che furono, ed il loro futuro, grazie al comportamento permissivo e disposto ad essere forgiato dai diversi atteggiamenti che assumono adesso, assolutamente differente rispetto a quello che poi è stato davvero. Le possibilità che si aprono, grazie a questo, si mostrano direttamente anche nelle diverse aule scolastiche: i compagni ora li trattano in maniera diversa, sono più comprensivi verso di loro, più disponibili a comprendere ciò che sembra passare nella loro testa, ed anche gli insegnanti delle varie materie delle Medie, hanno un atteggiamento più disponibile verso quei due, quasi generosi e magnanimi nei loro confronti. Tutto indubbiamente avrebbe preso un corso diverso se solo fossero stati più sinceri con sé stessi ed avessero adottato un comportamento maggiormente naturale. Ma probabilmente le loro personalità ne avrebbero sofferto talmente tanto, nel modificare il proprio contegno, da mostrare in seguito delle piccole ferite inguaribili.

            <<Marta>>, dice Paolo sottovoce manifestando un piccolo sorriso per addolcire il più possibile ciò che sta per affermare. <<Non riesco nemmeno ad immaginare questi pomeriggi senza di te>>. Anche Marta adesso sorride, sottintendendo così che una tale riflessione è identica a quella che ha già fatto lei, ancora prima di questo momento. <<Lo so che prima o dopo ci perderemo, o perlomeno lo immagino. Però io ti cercherò chissà quanto in altre persone, e forse, purtroppo, non ti troverò mai>>. Poi loro due si riprendono per mano, camminando per i sentieri fuori dal piccolo centro abitato, e quando lui l’accompagna fino quasi davanti alla casa dove abita Marta, si rende conto una volta di più che la sua famiglia, trasferendosi in città come ha già sostenuto di voler fare svariate volte suo padre, toglierà di colpo quella magia ormai consolidata, probabilmente neppure rendendosi conto di quale danno sia in grado di provocare. Anche lei appare consapevole di quel filo sottile che ancora li unisce, e che sta per rompersi una volta per tutte; e l’amarezza che le provoca questo pensiero le offusca già ogni aspirazione per il futuro, e la rende arida, sterile, incapace di sentirsi ancora bene come è riuscita a stare in tutto questo pur breve periodo di tempo. Ma tutto questo purtroppo non è mai realmente avvenuto, e loro due non hanno mai avuto tra loro delle vere parole di tenerezza.

            In seguito, poi, ciascuno di loro, una volta persa quell’amicizia profonda che avevano provato in quegli anni da ragazzini, ha neppure tentato di ritrovare un qualsiasi contatto con l’altro: ormai appariva smarrito il senso, immaginavano, perduto per sempre quell’entusiasmo che era stato capace di spingerli tanto in avanti. Ritrovare dopo decenni una donna con un passato contorto ed un presente impossibile, ed accorgersi che è proprio lei la ragazza di tanto tempo prima, da parte di Paolo, è una sorpresa fortissima, tanto che stenta a riconoscere in questa Marta attempata anche solo qualcosa di quella adolescente di un tempo, e per Marta è esattamente lo stesso groviglio di sensazioni, tanto da tenersi adesso molto a distanza da lui. Che senso abbia tutto questo, è difficile dirlo: il loro passato sembra evaporato in effluvi del tutto diversi da quelli che avevano prodotto anni prima, e forse solo la loro mancanza di effettivo coraggio pare adesso ulteriormente un ostacolo a qualsiasi tentazione riconciliante. Peraltro, ormai tutto è destinato a rimanere più o meno com’è, e l’unica vera possibilità che rimane ora, sembra sia quella di giocare in qualche maniera con la memoria, fino a modificare i comportamenti di un tempo, al punto da far apparire tutto quanto ancora possibile.

 

            Bruno Magnolfi

sabato 28 settembre 2024

Soltanto per salutarla.


            Sono immobile, ed attendo solo che, uscendo da dietro al solito scaffale, si facciano vedere come sempre lungo la parete le stesse ombre che ogni volta che sono sovrappensiero vengono ad affollare i miei turni di lavoro solitari che svolgo come portiere di notte dell’albergo. Non mi meraviglio neppure più del loro scorrere lentamente mostrando ognuna il proprio profilo, ma adesso, stranamente, dopo aver atteso un bel po’ di tempo, ecco che escono fuori le sagome di due ragazzetti che si tengono per mano. Guarda meglio: siamo esattamente io e Marta ai tempi della scuola di via delle Matite, non c’è alcun dubbio, ma resto sinceramente piuttosto sorpreso: non ho alcun ricordo di aver mai tenuto per mano lei in quegli anni, così come non ho memoria di averla mai toccata, se non accidentalmente. Invece, qui sul muro, questi due che ho di fronte sembrano ora quasi contenti di questa reciproca vicinanza, come fossero abituati all’abbraccio, alla confidenza, all’intimità, ed io non so spiegarmi se tutto questo sia soltanto il frutto di un desiderio di ambedue, peraltro tenuto sempre nascosto l’uno all’altra per evitare complicazioni, oppure sia, in questo esatto momento, semplicemente la proiezione di qualcosa che avrebbe anche potuto essere, ma purtroppo non si è mai verificato. Insomma, in ogni caso, è come se queste ombre iniziassero ad avere una vita propria, e proponessero delle variazioni concrete rispetto a quella che è stata sempre la realtà.

            Poi le due figure si fermano, restano immobili per qualche momento, quindi le loro sagome, grigie fino adesso, iniziano a dotarsi dei colori naturali di ogni persona, staccandosi dal muro e riprendendo le proprie ordinarie fattezze. Quando infine si voltano tutti e due verso di me appaiono sorridenti, quasi divertite, in un modo che mi sembra sinceramente poco affine ai ricordi che ho di quelle volte in cui camminavamo insieme nei dintorni della scuola. <<Sto bene>>, dice lei guardandomi soltanto di sfuggita. Io annuisco, cerco qualche parola per alimentare la conversazione, ma non trovando niente da dire, mi giro su me stesso sorridendo, quasi come fossi contento di quello che ha appena finito di spiegare Marta, la piccola Marta di cui non avevo neppure troppi ricordi. Quindi torno dietro al bancone del ricevimento, osservo qualcosa sul piano davanti a me come a dare importanza al mio lavoro, ma quando torno a guardare verso i due ragazzi, loro non ci sono più. Non so che senso abbiano queste strane apparizioni, però è evidente che non possono essere per me un vero passatempo, considerato che mi mettono sempre in soggezione, quasi in difficoltà con il loro portato di conseguenze. Se ci penso attentamente, poi, è la prima volta che vedo davanti a me Marta così com’era, o come io la ricordo, in quegli anni della scuola. Penso adesso che avrei voglia di chiederle qualcosa di più di quel periodo: quali fossero i suoi pensieri, le sue apprensioni, i suoi desideri, però mi rendo conto che è difficile impostare un dialogo con lei.

            Non trascorre molto tempo, ed ecco che giunge Marta, quella di oggi intendo, che si fa vedere come al suo solito alla vetrata dell’ingresso, quasi a chiedere il permesso per entrare, ma senza fare alcun gesto né domandare qualcosa di particolare. Aziono l’apertura automatica, e lei fa un passo dentro al vasto ingresso, poi si ferma, mi guarda, attende che io esca da dietro al bancone e vada verso di lei, poi dice soltanto: <<È arrivata anche lei, stasera. Non è vero?>>. Faccio un cenno affermativo con il capo, lei cerca qualcosa nella sua borsetta, le chiedo se posso prepararle il suo solito caffè, e lei mi segue lentamente fino alla caffetteria. Si siede davanti a me, sembra nervosa, forse vuol dirmi qualcosa di importante, penso. <<Non so per quale motivo si sia fatta vedere da te anche la mia ombra>>, dice; <<però sono sicura che non si sia comportata in un modo tale da rispecchiare coerentemente il nostro comune passato, ed abbia messo del suo nei propri atteggiamenti, come se tutto il tempo trascorso potesse suggerire come nuova una vita propria>>. Non so che dire, sono perplesso; la guardo, cerco di comprendere il vero motivo che porti Marta ad essere così irritata per quello che si è mostrata d’essere quando era soltanto una ragazzina, e sono quasi sul punto di dire che forse è dentro ai miei ricordi che le cose e i fatti si confondono, ma poi resto in silenzio.

            Devo prendere le distanze da queste incursioni di ombre e di memoria, penso, e farlo anche in fretta, almeno avanti che queste figure che mi si presentano si trasformino in veri e propri spettri. Forse Marta adesso pensa qualcosa di simile a ciò che penso io; forse il suo desiderio attuale potrebbe essere quello di aiutare me nel liberare la mente da tutte queste stranezze che continuano a scorrazzare davanti ai miei occhi, ma è difficile, perché probabilmente tutt’e due crediamo all’improvviso che tutto quanto si sia fatto troppo complicato. Poi se ne va, mi guarda per un attimo quando ormai è accanto alla porta a vetri, come volesse mostrarmi un semplice moto di comprensione, e quindi esce, mentre io sollevo una mano, ma giusto per salutarla.

 

            Bruno Magnolfi     

mercoledì 25 settembre 2024

Separata conduzione.


            Non me ne frega quasi niente di me stessa, figuriamoci degli altri. Però vivo di contraddizioni, per cui non mi sento mai del tutto sicura di quanto vado stabilendo. Se c’è una cosa di cui mi rammarico continuamente, è quella comunque di non aver mai avvicinato nessuno sentimentalmente, restando sempre e soltanto ai margini delle relazioni, e spesso da sola, per i fatti miei, immaginando che tutti intorno a me fossero soltanto degli estranei inavvicinabili. Forse sussiste un fondo di paura dentro la mia personalità, in ogni caso non ho mai trovato delle persone che mi dessero sufficiente fiducia da lasciare loro la possibilità di conoscermi troppo, tanto da farmi scambiare con qualcuno delle vere opinioni, così come non mi sono mai interessata di nessuna persona in particolare che mi abbia avvicinato in qualche modo. Anche quando andavo a scuola, in via delle Matite, i miei compagni di classe parevano costantemente lontani da me, tutti persi dietro a degli argomenti che a me apparivano semplicemente futili, proprio poco interessanti. Quando mi incontrai con Paolo, invece, ebbi subito un sussulto: era uno dei pochi che sapeva starti accanto senza parlare, senza la necessità di incalzarti con delle domande dirette e curiose, oppure intavolando qualche argomento sciocco, limitandosi invece a lasciare libero e ininterrotto il fluire dei pensieri dentro la mia testa e forse anche dentro la sua. Era il silenzio a contraddistinguere la nostra conoscenza reciproca, ma con l’andare del tempo dovetti rendermi conto che in questo modo non scambiavamo mai, in quei pochi momenti che rimanevamo fermi in piedi uno di fronte all’altra, nessuna riflessione personale che fosse capace di portare ad un relazionarsi più profondo.   

            Ricordo che andammo avanti per un pezzo a comportarci in questa maniera, a volte cercandosi con gli occhi quando eravamo sufficientemente a distanza nel cortile o davanti alla scuola, e stando più vicini solo in qualche occasione, ma senza mai guardarsi quando poi eravamo accanto, lasciando agli altri la confusione e le risate che ci parevano quasi provenire da un’altra dimensione. Credo, in tutto quel periodo, di non averlo mai chiamato per nome, neanche una volta, limitandomi ad avvertire la sua presenza come una sensazione insolita, certe volte colma d’ansia, quasi come una specie di raccolta di grumi colmi soltanto di insoddisfazione. Ricordo che in quelle occasioni pronunciavo, quando dovevo proprio dire qualcosa, una sola parola per volta, senza cercarne mai alcuna congiunzione con delle altre, quasi dipanando la trama di un tessuto composto soltanto da elementi isolati, e senza dare mai un senso davvero compiuto a quanto sillabavo a voce, se non dentro la mia mente, che invece aveva ben chiaro tutto il disegno completo. Forse, in questo modo, stavo così evitando qualsiasi spiegazione possibile dei miei pensieri, gettando là delle macchie di colore quasi inesplicabili, ma Paolo appariva sempre molto attento, capace persino di azzardare qualche possibile interpretazione, come comprendesse alla perfezione tutte le parti che mancavano dai nostri dialoghi. Quarant’anni dopo, non è molto diverso il nostro comportarsi, e nessuno di noi due ha chiesto all’altro che cosa mai ci sia accaduto in tutto questo periodo. Non ha alcuna importanza, viene ovviamente quasi suggerito dai nostri comportamenti, e non esiste alcun passato, niente di niente, perché l’elemento fondamentale di noi stessi è solo il presente, e poi nient’altro.

<<Eravamo simili>>, dice Paolo adesso, ed io alzo una spalla, come a spiegare che a mio parere non è del tutto così, e ad indicargli soprattutto che alla fine non fa nemmeno troppa differenza, in un caso o nell’altro. Perché, se ci intestardiamo a scavare bene fino in fondo, vorrei spiegargli, siamo soltanto due individui isolati, senza alcun vero contatto neppure tra di noi. Non mi interessa che lui comprenda il mio modo di essere, adesso, così come negli anni della scuola; a me basta che le nostre personalità ogni tanto tornino a sfiorarsi, come se non ci fosse alcuna necessità di toccarsi per davvero, e fosse sufficiente soltanto sapere che ci siamo, da qualche parte, ed abbiamo la possibilità di stare dalla stessa parte. Io e lui, credo che possiamo definirci una specie di alleati, e poi anche dei complici di qualche attività, anche se non saprei dire perfettamente quale essa sia. Ciò che resta maggiormente importante è che ognuno di noi rispetta la solitudine dell’altro, e che quindi i nostri incontri sono dati soltanto dal caso, dalla noia, dal bisogno di trovare ogni tanto un’espressione meglio conosciuta. Sono convinta che Paolo comprenda perfettamente questa idea, e la compagnia di ombre che gli appaiono ogni tanto davanti, raffiguranti persone che ha conosciuto, o rappresentanti di fatti avvenuti, sia già più che sufficiente. <<Marta>>, mi chiede; <<sono convinto che sia proprio tu ad inviarmi qualche volta queste ombre sfumate che strisciano lungo le pareti>>. Non dico niente, neppure gli rispondo, anche perché ormai è del tutto evidente come siano proprio i miei pensieri a creare attorno a lui le suggestioni che intravede. Poi me ne vado, non occorre neppure salutarci. In ogni caso è come se restassimo ancora assieme, come se le nostre presenze avessero una propria separata ma unitaria conduzione, e noi non potessimo proprio farci niente.

 

Bruno Magnolfi

sabato 21 settembre 2024

Stessa indifferenza.


Un giorno, mi sono trovato a percorrere una strada che non conoscevo, e quando mi sono fermato per rendermi conto di dove mi trovassi, ho avuto una sensazione netta, cioè come se qualcuno mi stesse osservando. Mi sono guardato attorno, ho voltato la faccia da ogni parte, ed alla fine ho intravisto solo un bambino piccolo che da dietro un angolo scappava via. Quando questo sogno si è interrotto e mi sono svegliato, ho capito che quel bambino semplicemente ero io stesso, mentre già all’età di cinque o sei anni iniziavo a fuggire da tutti, alla ricerca di una meravigliosa solitudine purtroppo mai raggiunta in modo davvero completo. <<Non mi va di stare a casa>>, aveva poi detto il bambino. <<È molto meglio cercare degli angoli tra le case da cui osservare quanto succede>>. Ecco, questo comportamento sembra sia stato esattamente ciò che mi ha caratterizzato più o meno fino ad oggi. Però non è una vera mancanza di socialità la mia, piuttosto la chiamerei incapacità a comunicare, praticamente il bisogno costante di rinchiudermi, piuttosto che dover spiegare a qualcun altro che cosa mi stia passando per la testa. Svolgere il mestiere di portiere di notte in un albergo, perciò, ha risposto pienamente alle mie aspettative, lasciandomi praticamente da solo a controllare una portineria sempre quasi deserta e comunque poco trafficata.

Ma adesso sembra che le cose abbiano iniziato rapidamente a cambiare, e tutte queste ombre che mi appaiono quando sono qui, non fanno altro che stuzzicare la mia sensibilità nel comprendere le cose, nel tentativo di spiegare, per me stesso ed anche per tutti gli altri, quali siano i motivi che sembrano spingermi, insieme alle persone attorno, a fare o a non fare certe cose. Ha iniziato il ragazzetto della scuola elementare con i suoi problemi a scansare tutti i compagni, e poi ha proseguito Marta, con le sue inquietanti apparizioni praticamente senza alcuno scopo. Poi sono arrivate le ombre di altre persone conosciute nel passato a strisciare sopra ai muri dell’albergo e anche di casa mia, ed io non mi sono più sentito solo, ma circondato da un sacco di gente con il loro carico di domande e di richieste continue per delle ulteriori spiegazioni. Non lo so per quale motivo nella scuola di via delle Matite non avessi alcun compagno a cui riferirmi, ma per me era naturale dimostrarmi distaccato da tutti, e non ho neppure mai pensato di poter essere diverso, anche se qualche volta ho incolpato quel ragazzetto che apparivo allora di aver invalidato con quel comportamento tutto il mio futuro.

<<Non ha importanza>>, dice Marta; <<ognuno è fatto alla propria maniera>>, e poi resta in silenzio, sorseggiando il suo caffè quando passa dall’albergo a notte fonda. Lei è una persona del tutto incomprensibile, già così com’era negli anni della scuola di via delle Matite, ma per me cercare di seguire i suoi pensieri viene naturale, anche se spesso mi disorienta con degli spudorati luoghi comuni. Però mi basta la sua presenza, le poche volte che la vedo, per rendermi conto che siamo ancora fatti, proprio come tanti anni fa, di una medesima pasta comune. Ho cercato di parlare con lei, una sera, del suo portachiavi che mi aveva regalato, quel piccolo pinguino di plastica che da quel momento mi sono portato dietro per un sacco di tempo, ma lei si è limitata a sollevare una spalla, come se il suo dono non fosse stato un gesto di qualche rilevanza, oppure se non ricordasse affatto quel momento. Invece, una volta, ha tirato fuori un pesciolino intagliato nel legno, e mi ha chiesto se lo ricordassi. Mi sono sentito attraversare da forti brividi immaginando i significati possibili dietro quella sua domanda, ma anche io ho cercato di nascondere l’importanza della cosa, e Marta non si è certo prodigata ad insistere. Anzi, subito dopo se n’è andata, lasciando dietro di sé un’aura di stregoneria nell’intercettare con semplicità i miei ricordi e i miei pensieri.

Anche lei fa parte di tutte quelle ombre che scivolano accanto a me insistendo nel farmi presente qualcosa della mia vita, penso, ed io certe volte non so neppure più distinguere se tutto quanto sia la realtà oppure solo un sogno, magari un surrogato della verità creata da una mente ormai annebbiata come la mia. Poi penso che vorrei fare qualcosa per Marta, qualcosa che non apparisse minimamente banale, ma presto devo smettere con questo pensiero, perché mi perdo nel cercare di comprendere cosa mai potrebbe davvero farle piacere. Già, perché Marta è enigmatica, sfuggente, una donna per certi versi incomprensibile, e nonostante io sia affezionato a questa persona, lei non dimostra minimamente di esserlo nei miei confronti. In ogni caso, pur avvertendo costantemente la freddezza del suo rapporto verso di me, non posso certo dire che il suo modo di comportarsi sia diverso da quello che usava ai tempi della scuola. A quell’epoca sembrava indifferente quasi a tutto, e visto che io non desideravo in alcun modo dimostrare di essere da meno verso di lei, le usavo quasi sempre con naturalezza la medesima totale indifferenza.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 19 settembre 2024

Silenzio esplicativo


            <<Marta!>>, grido di colpo verso Marta mentre ci troviamo nel vasto e affollato cortile della Scuola Media di via delle Matite, durante i minuti di pausa di mezza mattina. Ovviamente tutti i ragazzi presenti si voltano immediatamente verso di me, e forse qualcuno dopo qualche secondo inizia anche a ridere, visto che sarebbe stato sufficiente per me avvicinarmi a lei invece di chiamarla da lontano. Dopo un paio di minuti, Marta, come speravo, si fa vedere: cammina lentamente, quasi senza averne alcun desiderio, e probabilmente si è mossa soltanto per evitare che io torni di nuovo a gridare il suo nome. Si ferma ad un paio di metri dalla mia faccia ed osserva distrattamente le mie scarpe, forse per non guardarmi negli occhi, tanto che io adesso non so bene neppure che cosa dirle, e rifletto che in fondo è già sufficiente che mi abbia raggiunto. Non c’è niente di male, credo, nel fatto che io oramai intendo riferirmi soltanto a lei tra tutti i compagni che affollano la scuola, anche se non desidero assolutamente che Marta immagini di essere una ragazza importante per me. Vorrei che mi considerasse un suo amico, un suo confidente, anche se non mi interessa che venga da me per parlare di chissà che cosa. A dire la verità Marta difficilmente parla con gli altri, ed anche con me perlopiù si limita qualche volta soltanto ad annuire o a scuotere la testa in senso negativo, e poi a starsene ferma, in silenzio, lasciando agli altri ogni iniziativa. Però la sua presenza per me è già più che sufficiente, e sono convinto che esista una specie di similitudine tra noi due, una base comune che anche se non si manifesta in fatti del tutto concreti, sicuramente ad ambedue ci fa sentire meglio, come per una sincera comprensione reciproca, e poi vicini, quasi complici nei nostri comportamenti, pur senza mai dirci niente di particolare che possa dimostrare una particolare solidarietà.

            Lei adesso tira fuori da una tasca un piccolo pinguino di plastica con un anello, forse un portachiavi, e lo muove tra le sue dita mentre probabilmente attende con pazienza che io le dica qualcosa, o almeno che le spieghi il motivo per cui ho detto il suo nome a voce alta, anche se a me, in questo momento, non interessa altro che sapere cosa rappresenti per Marta quel piccolo animale di plastica che tiene tra le mani, quasi come potessi sentirmi geloso di un oggetto del genere. <<Che cos’è?>>, le chiedo; e lei pur restando praticamente immobile dove si trova, sicuramente sta cercando dentro di sé una spiegazione adeguata alla mia richiesta. <<È un portafortuna>>, mi dice, e poi non pronuncia nessun’altra parola. Osservo le sue mani, poi il pinguino, ed infine mi rendo conto che Marta tiene molto a questo animaletto bianco e nero, forse perché le ricorda qualcuno che le ha fatto questo regalo, oppure le rammenta un momento preciso a cui lei si è affezionata. <<Potresti donarlo a me>>, le spiego adesso con voce bassa. <<Potrebbe essere proprio quell’amuleto di cui sento la mancanza>>. Lei mi guarda in faccia per due secondi, senza cambiare espressione, quindi torna ad osservarmi le scarpe, senza neppure provare a rispondere. Mi volto leggermente, come se non mi interessassi troppo della sua possibile risposta. Forse vorrei sorridere, ma non mi riesce.

            Ci passa vicino una sua compagna di classe: <<Vieni?>>, le dice, forse per aiutarla a liberarsi di me, oppure per smuovere una situazione ai suoi occhi un po' ingessata e antipatica. <<Fra un attimo>>, dice Marta con tutta la sua calma, lasciandomi tirare un sospiro di sollievo. Tra poco so che suonerà la campanella per chiamarci a riprendere posto ognuno dentro al banco della propria classe, e ricominciare così a seguire le lezioni degli insegnanti. Torno ad osservare Marta, e forse mi muovo leggermente verso di lei, mentre sposto il peso del mio corpo da una gamba a quell'altra. Non ho niente con me da mostrare o regalare a lei a mia volta, se anche fossi il tipo di persona che fa cose del genere, così come lei non mi ha mai dato niente di suo da tenere. Vorrei avere molti più anni di quelli che in questo momento mi ritrovo, ed essere anche in grado di dire a questa ragazza qualcosa di veramente incisivo, qualcosa che magari le possa far piacere davvero, come una frase impegnativa per me, una parola adeguata ad una situazione del genere, non saprei, forse persino fare un gesto talmente esplicativo da risultare indelebile per anni, ma adesso ho soltanto un'età scolastica, penso, e in queste condizioni non sono assolutamente in grado di spiegare a nessuno che cosa mi passa davvero dentro la mente. Forse anche perché neppure io lo so. Sento che tra un attimo Marta si volterà e tornerà tra i suoi compagni di classe, oppure salirà i gradini per rientrare da sola dentro l’edificio scolastico, ma lei desidera meravigliarmi, probabilmente: <<Tieni>>, mi dice, mettendomi tra le mani il suo pinguino; poi se ne va davvero.

 

            Bruno Magnolfi

martedì 17 settembre 2024

Tentativi di variazione.


            Osservo una parete di casa mia, che fino a poco fa era soltanto e semplicemente imbiancata, ed adesso invece presenta una strana ombreggiatura che sembra quasi sortire fuori da dietro un mobile. Guardo meglio, mi incuriosisco, ma non sembra proprio una chiazza d’umido o qualcosa del genere; perciò, mi decido a spostare lo scaffale che ne nasconde una buona parte, e con una certa fatica riesco a mettere in luce anche la parte più nascosta. È la sagoma di un pesce stilizzato, non c’è alcun dubbio, ma non è qualcosa che sembra abbia a che fare con la pittura o con l’intonaco. È un’ombra, ecco di che cosa si tratta, anche se nella mia stanza non arriva quasi mai il sole, e nonostante la luce della lampadina non sia proprio in grado di proiettare una sagoma del genere sul muro. Poi si muove, il pesce sembra andare avanti per conto proprio, pur lentamente, come se fosse su un fondale marino a caccia di crostacei o di chissà che cosa. Giunge lentamente fino all’angolo della stanza, e poi con calma sparisce, come se avesse scodato nell’acqua verso un’altra zona di caccia. Resto ad osservare, e dopo un attimo arriva l’ombra di un ragazzetto in calzoni corti che sembra come andare dietro al pesce. Non c’è dubbio, sono io da piccolo, mentre cerco di inseguire l’anima di quel pesce di cui adesso ricordo qualcosa. <<Ciao Paolo>>, gli dico nel momento in cui lui inizia a mostrarsi più concretamente, mettendo da parte l’ombra e colorando la sua sagoma in modo più naturale e verosimile. <<Era un pezzo che non ti facevi vedere>>, gli faccio, e lui si schernisce, come se volesse mettere subito in chiaro la sua solita e indubbia timidezza.

            Quindi ci spostiamo, io rimetto al suo posto lo scaffale scansato, lui si accosta al tavolino, e poi si siede. <<Quando ripenso a quel periodo>>, gli dico mentre mi siedo anche io, <<mi prende ancora una grande tristezza. Non so perché avessi catturato quel pesciolino grigio mettendolo in un sacchetto di plastica, senza altro scopo, poi, se non quello di portarlo fino a casa, come fanno i cani con la loro preda. Però subito quel giorno mi ero reso conto che non era certo un comportamento adeguato alla mia personalità, anche se quando avevo cercato di liberarmi di quel pesce, avevo persino peggiorato le cose>>. Paolo tira su le spalle, come se non avesse alcun interesse a ripercorrere quegli attimi, e difatti tiene lo sguardo a terra, come per non dare alcun seguito a quei miei ricordi. Poi si alza, va verso la parete, sicuramente desidera già andarsene, penso, e quindi riprendere la sua dimensione di semplice ombra, per poi magari sparire come prima dietro al mobile, ed io, che vorrei trattenerlo per chiedergli ancora qualcosa, mi rendo conto che non ho l’autorità e le parole giuste per farlo, tanto che mi limito a guardarlo mentre, come avevo immaginato, svanisce, e poi basta.

            Potrei fare un disegno, penso, magari usando delle matite colorate, o anche soltanto un carboncino nero, rifletto all’improvviso: un disegno non troppo grande su di un foglio di carta, raffigurante il mio pesciolino grigio durante gli anni della scuola, almeno così come lo ricordo, e poi appenderlo da qualche parte, anche soltanto per rammentarmi ogni tanto di qualcosa per cui provai a quell’epoca un sincero dispiacere derivato dalla mia cattiva azione. Ma poi sorrido delle mie idee, mi alzo dal tavolo, prendo la giacca ed esco dal mio appartamento. Sono tutte sciocchezze, rifletto, cose senza importanza di cui peraltro non potrei parlarne con anima viva. Forse l’unica persona che potrebbe riuscire, pur a modo suo, a mostrare un po’ di comprensione per i miei strani ricordi che si intrecciano continuamente con la mia giornata, è soltanto Marta, anche se riesco a vederla solamente quando le pare a lei. Decido di passare da casa sua, di attenderla davanti al portone, di provare anche a bussarle alla porta, se proprio riesco ad avere tutto questo coraggio, e così mi avvio subito in quella direzione. Ma dopo poco inizio a nutrire dei dubbi sulla giusta opportunità di una visita del genere, ed allora rallento il passo, e poi mi fermo, quando già sono in vista del caseggiato dove lei abita.

            Mi piacerebbe avere la possibilità di scambiare dei pensieri, delle opinioni, dei pareri sinceri con qualcuno proprio come Marta, ma ho sempre più coscienza del fatto che questo risulta sempre più difficile, e che il mio isolamento dagli altri è qualcosa di ormai assodato, praticamente impossibile da rimuovere. Potrei ancora una volta prendermela con i miei anni della scuola elementare, trascorsi in sostanza senza mai un vero dialogo con anima viva, ma alla fine rifletto che se questo non è quasi avvenuto neanche in seguito, non posso ancora incolparne quel periodo. Piuttosto, probabilmente è la mia stessa incapacità a comunicare con chiunque che mi ha relegato in questa profonda solitudine, e ormai non posso più fare nulla, penso, per tentare delle variazioni.

 

            Bruno Magnolfi

domenica 15 settembre 2024

Comprensione reciproca.


Cammino da solo, in un pomeriggio qualsiasi dopo la scuola, allontanandomi svogliatamente dalle case del centro abitato, scorrendo con calma la riva di un piccolo ruscello, fino a giungere in un punto dove l'acqua si allarga in una vasta pozza verde, quasi un laghetto. Su di un lato dello specchio d’acqua giunge, dalla parte più in alto, una cascatella di pochi centimetri tra alcuni sassi lucidi, ed io mi siedo sui talloni ad osservarne il corso e ad ascoltarne il gorgogliare monotono. Poi mi accorgo che un paio di pesciolini grigi sono trascinati dalla pur debole corrente, e cadono, senza riceverne alcun danno e malgrado i loro sforzi per nuotare nel senso opposto, giù nella pozza. Dopo qualche tentativo, tramite una busta di plastica che mi ritrovo in una tasca del giubbotto, riesco addirittura a catturarne uno, mentre ne arrivano anche altri dal piccolo torrente che alimenta il laghetto, e a trattenerlo nel sacchetto insieme ad una piccola quantità d’acqua. Quel contenitore improvvisato deve però avere un piccolo foro, e difatti gocciola dal fondo bagnandomi un po’ anche le scarpe e i calzoni, ma in ogni caso penso proprio che dovrei farcela a giungere fino a casa avanti che si svuoti completamente. Quando arrivo a salire le scale, difatti, è rimasta soltanto una minima quantità di elemento liquido, ed il pesce sembra adesso stazionare perplesso in quelle due dita rimaste, quando poi entro in casa, prendo una bacinella e la riempio, e trasferisco là dentro il pesciolino, per iniziare subito ad osservarlo mentre guizza da un lato a quell’altro. Non so che pesce sia, ma questo in fondo non ha alcuna importanza: è lungo circa come un dito della mia mano, ed è vivo, vivace, quasi un simbolo della natura libera ed autonoma, o almeno lo era fino ad un attimo prima del mio intervento.

Mi piace sentirmi in grado di catturare un piccolo animale del genere e di avere su di lui il potere decisionale sulla sua vita, ma dopo poco che ci rifletto comprendo che non dovrei tenerlo con me, la sua natura non è fatta per questo scopo, e provo subito un certo dispiacere per la mia azione. Quando infine decido di rovesciare la bacinella con il pesciolino nello scarico dell’acquaio, lo faccio sperando che quel piccolo animale ritrovi così in qualche modo la sua piena libertà, anche se so quasi per certo di condannarlo alla morte. Mi viene da piangere nel riflettere alla cattiveria con cui l’ho trattato, ma sistemo subito la bacinella al suo posto e torno ad uscire da casa. Mia madre, nell’altra stanza, sicuramente non si è accorta di niente, ma io mi sento ugualmente colpevole, tanto che adesso cammino nervosamente per strada, rinchiuso il più possibile nel mio dolore e nella mia solitudine. Mi siedo su una panchina e dopo poco arriva Marta insieme ad una sua amica. Si siedono accanto a me senza dire niente, ed io all’improvviso provo il desiderio profondo di essere abbracciato, di essere stretto, consolato, compreso nel mio dolore. <<Che stai facendo?>>, mi chiede Marta dopo qualche minuto, ma io non riesco a parlare, ed ho bisogno soltanto di silenzio, e in nessun caso riuscirei a spiegare il mio stato d’animo. <<Vuoi stare da solo?>>, dice lei, ed io non riesco neppure a rispondere, perché vorrei semplicemente sentirmi vicino a loro due, anche se in questo momento non potrei mai parlare con nessuno, tanto meno accennare a quello che davvero mi passa dentro la mente. Se ne vanno, mi piacerebbe avere il potere di trattenerle in qualche maniera, ma capisco che è probabilmente impossibile, così abbasso lo sguardo, e non le saluto neppure.

Che cosa mi interessa degli altri, rifletto: io adesso sono con il mio pesciolino adorato, nuoto con lui e sto lottando insieme a lui con tutte le forze che abbiamo per la stessa identica sopravvivenza, immersi come ci ritroviamo in chissà quale fogna, alla ricerca disperata dei nostri simili, di quel branco di pesci da cui siamo stati separati da mano crudele. Mi alzo in piedi, sono dispiaciuto della mia leggerezza, è evidente, e per questo forse non potrò mai perdonarmi il gesto che ho fatto, e quando incontro alcuni compagni di scuola lungo la strada, vorrei schiaffeggiare tutti quanti soltanto per dimostrare a loro il mio disappunto e la mia rabbia. Poi, per evitare problemi, riprendo il viottolo di fianco al ruscello e rapidamente ritrovo il laghetto. Mi immergo lentamente fino alle spalle, con le scarpe e i vestiti, e rimango nell’acqua fredda e fangosa fino a quando, non so come, riesco piacevolmente a percepire la presenza di decine di pesciolini che nuotano liberi intorno a me. Quando infine esco dal laghetto mi ritrovo completamente fradicio e sporco, però mi sento in qualche modo in pace con me stesso, come se avessi superato una prova. Ho tenuto con me per quanto potevo un piccolo pesce, penso, poi ho restituito a lui la propria libertà, ma nessuno di noi due potrà facilmente dimenticare la nostra esperienza: un contatto meraviglioso, una comprensione reciproca.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 13 settembre 2024

Incapacità manifesta.


Mi rendo conto, d’improvviso, che a fasi alterne, un po' con la sua effettiva presenza, almeno quelle volte in cui si fa vedere, e un po' nei miei pensieri che maturo volta per volta su di lei, Marta ha attraversato quasi tutta la mia esistenza. In certi casi, se ci rifletto, mi pare persino che anche lei vada talvolta a far parte di quella piccola schiera di ombre che ultimamente affollano la mia immaginazione, e in altre occasioni mi pare di giungere a desiderare di esserne parte io stesso di quella schiera, in modo da strisciare come loro, per terra e sopra ai muri, esattamente come un’altra entità impalpabile, così come fanno tutte le altre figure che sfilano davanti ai miei occhi. L’anno prima di iscrivermi alla scuola media, pur non conoscendola ancora, stavo già maturando dentro di me la voglia di accostarmi ad una ragazza esattamente come Marta, e in qualche modo forse nella mia mente avevo già iniziato a farci amicizia, addirittura a frequentarla, a dirle tutte le cose che fino ad allora non mi ero mai sognato di dire a qualcuno. Certe volte mentre percorrevo come sempre da solo la strada fino alla scuola elementare, già mi pareva di dover incontrare poco più avanti questa ragazza, magari proprio in via delle matite, davanti all’edificio scolastico, e di trovare subito in lei quella sponda che non avevo mai riconosciuto in nessuno. <<Sono stanco>>, le dicevo; <<stanco di essere scansato da tutti, di non avere alcun amico, di essere additato come un bambino diverso, uno che è sempre bene tenere alla larga>>. Lei mi riferiva di sé delle cose piuttosto analoghe alle mie, e questo era già sufficiente per ambedue nel farci procedere in avanti.

<<Quando uscirò dalla scuola voglio andarmene in giro, trovare lontano da qui la mia vera vocazione, e poi provare ad affiancarmi a qualcuno che sia capace di provare le mie stesse sensazioni>>. Marta, silenziosa come sempre, mi avrebbe ascoltato, forse osservando qualcosa oltre le siepi polverose intorno alla scuola, e magari avrebbe annuito. <<Mi piace la mia solitudine>>, avrebbe spiegato lei; <<Però qualche volta mi sento disposta ad aiutare qualcuno>>. Poi avrebbe finto di mescolarsi con i suoi compagni di classe, e quando io con una scusa sarei andato a cercarla, mi avrebbe guardato per un attimo con indifferenza, come se non fosse stata importante anche per lei la nostra amicizia. <<Sono qui per te>>, le dico adesso nei miei pensieri, e lei con la sua espressione risponde che ci sono cose ben più importanti di certe sciocchezze. Poi le propongo di svolgere insieme qualche compito scolastico, a casa mia magari, dove c’è soltanto mia madre che trascorre il pomeriggio a tagliare e a cucire le stoffe nell’altra stanza. <<Va bene>>, mi fa, anche se capisco perfettamente che lo dice soltanto per farmi un favore, e forse per non essere troppo sgarbata con me. Più tardi, mentre stiamo seduti di fronte, con le mani tra i nostri quaderni appoggiati sul piano del tavolino, afferma che noi siamo soltanto delle ombre, delle figure ritagliate nella carta, e che strisciano sulle pareti, nient’altro. La osservo, non so dove riesca a trovare affermazioni del genere, però annuisco, anche perché sono convinto che in fondo ci sia del vero in queste sue parole.

Immagino che Marta abbia una casa piena di libri, e che trascorra molte ore a leggere pagine su pagine di curiosa letteratura di fantasia, anche se non le farei mai una sola domanda su questi temi. Quando ci salutiamo l’accompagno fino al portone in fondo alle scale, e lei, forse attraversata improvvisamente da qualche pensiero diverso dai suoi soliti, mi dà un piccolo bacio sulla guancia, senza dire una sola parola. Non mi posso fidare di una persona così, rifletto mentre lei si allontana. Pur proseguendo a tenere viva questa amicizia leggera e senza pretese, devo cercare di non farmi assolutamente prendere la mano da sentimenti diversi. Distacco ci vuole, con una ragazza così. Nessun coinvolgimento emotivo, rifletto, quasi che frequentarsi si dimostri un semplice tentativo come tanti altri di sconfiggere semplicemente la noia. La storia delle ombre però mi intriga, anche se sono soltanto un ragazzino, e se mi proietto in un futuro remoto mi vedo già insieme ad una schiera di figure appiattite sul muro, prive di una dimensione essenziale. Forse ha ragione Marta, penso ancora; inutile dibattersi alla ricerca di chissà che cosa: siamo soltanto ritagli di carta appoggiati su un muro. Mia madre prosegue a cucire, quando torno a salire le scale condominiali e a rientrare nel nostro appartamento. Forse, come in molti altri casi, non si è neanche accorta che c’era una mia compagna di scuola qua dentro, e che stiamo affinando la nostra amicizia, mettendo a punto il nostro futuro, giocando con pensieri fondamentali della nostra età. Comunque, so che non è affatto importante tutto questo, e che dobbiamo semplicemente tirare avanti ogni giorno, sentirsi fortunati se riusciamo ad essere già così come siamo, e la solitudine che sta dentro di noi è probabilmente soltanto qualcosa di innato, come l’incapacità manifesta a comunicare qualcosa a chiunque.

 

Bruno Magnolfi

martedì 10 settembre 2024

Proiezione verso il futuro.


            Molto spesso intravedo ancora delle ombre sfumate che scorrono sul muro davanti a me. Non è più soltanto quella del ragazzetto che conosco anche troppo bene, considerato che sono io stesso, o almeno quello che ero ormai una trentina d’anni fa, così come ancora riesco ad immaginarne il profilo nella mia memoria. Adesso, però, proseguono a giungere volentieri davanti a me anche altre figure, fisionomie di persone che spesso neppure riconosco, pur essendo convinto che facciano tutte parte dei miei ricordi, e tra loro il ragazzetto dell’epoca della scuola, peraltro, risulta adesso sempre meno distinguibile in mezzo a tutti. Sono sicuro che rappresentano i tanti personaggi che ho conosciuto durante gli anni della mia giovinezza, molto probabilmente, ma in ogni caso nessuno di loro sembra aver voglia di dire niente, visto che si limitano soltanto a mostrare a me ognuno il proprio profilo, come se ciò fosse già più che sufficiente. Prendo servizio come ogni giorno nell’albergo dove svolgo il ruolo di portiere di notte, saluto i colleghi che intanto se ne vanno per la fine del turno, e poi mi piazzo da solo dietro al bancone del ricevimento, con il mio consueto impeccabile abbigliamento composto da giacca grigia, camicia bianca, calzoni in tinta ed una cravatta ben annodata. Non ci sono molti clienti in questo ultimo periodo, così mi metto comodo a leggere un libro che mi sono portato da casa. Però, dopo che ho dato le chiavi della camera ad un’ultima coppia di stranieri, ecco che giungono davanti ai miei occhi le prime ombre. Mi alzo, vado verso il muro, cerco di toccarle, ma sono del tutto impalpabili. Poi, molto più tardi, quasi a metà della notte, arriva Marta. Lei, al contrario delle altre presenze, risulta come ogni volta in carne ed ossa, e come sempre finge di passare da qui praticamente per caso, e con il solito tatto e la medesima gentilezza chiede in un soffio il permesso di entrare nella vasta sala deserta, e quindi in silenzio si fa da una parte, come per non dare troppo fastidio. <<Sono io ad inviarti le ombre>>, mi dice dopo un attimo di silenzio. <<Mi dispiace saperti da solo>>, mi fa; <<Senza mai una compagnia, isolato dagli altri; e così ho pensato che costringerti a riconoscere qualche figura diafana confrontando alcuni profili con i personaggi che trattieni nella tua memoria poteva essere una maniera per trascorrere meglio il tuo turno. Naturalmente, se tutto ciò per te è qualcosa di troppo opprimente, è sufficiente dirlo, e così smetterò”.

Ci trasferiamo nella saletta della caffetteria, e come al solito accendo subito e metto in pressione la macchina. Non dico niente, non mi sembra ci sia alcuna necessità di parole. Anche Marta adesso non dice niente, si limita a guardare qualcosa alle mie spalle e poi basta. Anche la sua, rifletto, è una frequentazione insolita e particolare, anche se i nostri trascorsi giovanili hanno fatto riemergere in noi due quel piccolo legame affettivo che avevamo interrotto in quegli anni. <<Non sono sicuro di avere davvero bisogno di compagnia>>, le dico senza troppa convinzione. <<Però riconoscere qualcuno in mezzo a quelle sagome che mi appaiono davanti, effettivamente mi piacerebbe, ed una volta ricordato qualche nome, forse potrei parlare con loro, e magari trovare il coraggio per togliermi qualche curiosità>>. Lei sorseggia il suo caffè, e se la osservo meglio mi sembra troppo magra, sciupata, come se non fosse interessata a conservare al meglio possibile la sua persona, il suo fisico da ragazza invecchiata. Rifletto per un momento in mezzo a questo silenzio notturno che forse riesce talvolta a tirare fuori da me degli elementi talmente evidenti da non essere affrontati mai, probabilmente solo perché appaiono scontati.  <<Non mi sembra comunque che quanto a compagnia dovresti preoccuparti troppo degli altri>>, le dico in un soffio, sapendo di toccare un argomento antipatico. Marta non risponde, però sorride leggermente, come sapesse perfettamente di essere stata colta nel vivo dei propri problemi, forse in ciò che più di tutto angustia il suo tempo presente.

Poi si alza dallo sgabello del bancone, si volta. <<Adesso devo andare>>, dice soltanto, ed io l’accompagno subito fino alla porta vetrata dell’albergo. Probabilmente riprenderemo questo argomento spinoso un’altra volta, lasciando come sempre sfilacciare i pensieri e le meditazioni in tutto il tempo di solitudine che ci troviamo davanti reciprocamente, mi immagino; magari, con il suo stile, lei tirerà fuori dal suo cappello, una di queste volte, qualcosa di nuovo che mi potrà lasciare interdetto, oppure si limiterà ad osservarmi in silenzio, per leggere sulla mia espressione sfuggente i miei stessi pensieri. In ogni caso, so perfettamente già da ora che toccherà a me scegliere la mossa migliore per evitare che le nostre esistenze così alla deriva non diventino soltanto delle abitudini, dei comportamenti del tutto usuali, privi di una pur piccola proiezione verso il futuro.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 5 settembre 2024

Inseguire un'idea.


Marta non mi ha più cercato. L’ho intravista qualche volta davanti alla scuola, mentre con gli altri si riversava lungo via delle matite, all’orario di uscita. Ma non ho guardato direttamente verso di lei, proprio per evitare di metterla in imbarazzo, e poi qualche sua compagna sembrava in quel momento riuscire a distrarla con qualche chiacchiera tipica delle ragazzine, così immagino non si sia neppure accorta di me. Forse ho fatto qualche errore con Marta, però vorrei ricevere adesso una pur piccola spiegazione del suo insolito comportamento. Lascio passare qualche giorno, con la mia abituale indifferenza, però mi guardo in giro, controllo sempre che lei sia dalle parti della scuola, che sia presente nei dintorni di ogni mia giornata, aiutandomi con un paio di occhiali di mio padre, con le lenti oscurate, che camuffano ogni espressione e non lasciano capire verso dove i miei occhi siano rivolti. Infine: la noto, ferma sul cortile, insieme a qualche compagno, però con lo sguardo basso, in silenzio, come per fare soltanto atto di presenza in mezzo agli altri ragazzi. Le vado vicino senza che lei mi noti, estraggo un temperino che porto spesso con me, non so neppure per quale motivo, e poi affondo rapidamente la punta della lama nel suo braccio. Marta lancia un urletto mentre la sua faccia assume immediatamente una smorfia di dolore, ma io mi ritiro, pur con calma, senza guardarla, come se non avessi niente a che fare per quella piccola ferita che le ho provocato. Lei adesso mi scruta con espressione cattiva, la sua faccia sembra quasi chiedere a gran voce il motivo di questo mio gesto, ma io, dopo un attimo di sosta, muovo i passi per andarmene. Lei mi raggiunge, mi costringe a fermarmi, mi guarda diritta, ed io tolgo gli occhiali, la guardo a mia volta, le chiedo, come se cadessi dal cielo in quel momento: <<Che cosa ti ho fatto?>>. Marta comprende perfettamente a cosa mi riferisco, e dopo aver estratto dallo zaino un fazzoletto di carta si asciuga le poche gocce di sangue che le sono uscite dal braccio, e quindi risponde: <<Niente>>, senza aggiungere altro.

Rimaniamo lì immobili e vicini per qualche minuto, in silenzio, senza più avere il coraggio neppure di guardarci, poi lei muove un passo di lato, e quindi si avvicina decisa verso i suoi compagni. Torno a casa camminando lentamente, rifletto che forse in questo momento avrei la necessità di un parere obiettivo, l’opinione di una persona più grande di me, disposta ad ascoltare tutta la storia e a tirarne fuori un giudizio chiaro e spassionato. Mi immedesimo rapidamente in ciò che sarò tra vent’anni o anche di più, e mi rendo conto in questa nuova veste che forse nel futuro niente più sarà com’è stato adesso. In tutti questi anni trascorsi non ho mai avuto bisogno di una vera compagna, stabilisco nella mia mente, anche se naturalmente ho fatto le mie esperienze. Forse non sono stato capace di provare per gli altri veri e sinceri sentimenti di affetto, e la solitudine che sempre ho coltivato mi è parsa ogni volta l’unica vera caratteristica della mia personalità, fin da quando ero un ragazzo del periodo scolastico. Probabilmente il mio modo di comportarmi non è risultato favorevole per tutte le persone che mi hanno incontrato fino ad ora, e per tutte loro probabilmente arrivare a scansarmi è sempre stato il modo migliore per non avere qualcosa da spartire con me. 

Da adulto, proprio come ora mi sento, ripenso ancora alle possibilità a cui avrei potuto facilmente spianare la strada, se solo nei momenti in cui ero bambino avessi cercato di variare almeno qualcosa di tutto quanto è andato capitando in seguito, oppure di ciò che non mi è capitato affatto, lasciandomi da solo a navigare in un mare quasi sempre estraneo ai miei gusti. Mi guardo dentro uno specchio, e certe volte intravedo una persona diversa da ciò che sono diventato, qualcuno che normalmente si piazza rannicchiato e inerte dietro alla maschera. Avrei potuto fidarmi degli altri, coltivare delle amicizie, raccontare in giro qualcosa delle mie sofferenze, e durante le mie confessioni confrontarmi con le esperienze di qualche coetaneo. Questo lasso di tempo, da quando ero un ragazzo fino ad oggi, è servito soltanto a solidificare quello che già era abbastanza evidente negli anni dell’adolescenza: l’incapacità che ho sempre avuto ad instaurare delle relazioni con gli altri, di confidarmi, di scambiare opinioni, di avere fiducia nel prossimo, assieme naturalmente al fatto assodato per cui non sono mai riuscito a modificare la benché minima parte di quanto adesso mi appare evidente, invariato e costante per tutto questo lungo periodo. Forse è vero che Marta era simile a me, ma proprio per questo non era possibile per noi due trovare una sintesi comune dei nostri caratteri. Senza saperlo, al momento, il mio gesto allora era stato quasi catartico, ed il fatto di averla fatta allontanare definitivamente da me, un qualcosa che indubbiamente stavo cercando da tempo.

 

Bruno Magnolfi