venerdì 13 settembre 2024

Incapacità manifesta.


Mi rendo conto, d’improvviso, che a fasi alterne, un po' con la sua effettiva presenza, almeno quelle volte in cui si fa vedere, e un po' nei miei pensieri che maturo volta per volta su di lei, Marta ha attraversato quasi tutta la mia esistenza. In certi casi, se ci rifletto, mi pare persino che anche lei vada talvolta a far parte di quella piccola schiera di ombre che ultimamente affollano la mia immaginazione, e in altre occasioni mi pare di giungere a desiderare di esserne parte io stesso di quella schiera, in modo da strisciare come loro, per terra e sopra ai muri, esattamente come un’altra entità impalpabile, così come fanno tutte le altre figure che sfilano davanti ai miei occhi. L’anno prima di iscrivermi alla scuola media, pur non conoscendola ancora, stavo già maturando dentro di me la voglia di accostarmi ad una ragazza esattamente come Marta, e in qualche modo forse nella mia mente avevo già iniziato a farci amicizia, addirittura a frequentarla, a dirle tutte le cose che fino ad allora non mi ero mai sognato di dire a qualcuno. Certe volte mentre percorrevo come sempre da solo la strada fino alla scuola elementare, già mi pareva di dover incontrare poco più avanti questa ragazza, magari proprio in via delle matite, davanti all’edificio scolastico, e di trovare subito in lei quella sponda che non avevo mai riconosciuto in nessuno. <<Sono stanco>>, le dicevo; <<stanco di essere scansato da tutti, di non avere alcun amico, di essere additato come un bambino diverso, uno che è sempre bene tenere alla larga>>. Lei mi riferiva di sé delle cose piuttosto analoghe alle mie, e questo era già sufficiente per ambedue nel farci procedere in avanti.

<<Quando uscirò dalla scuola voglio andarmene in giro, trovare lontano da qui la mia vera vocazione, e poi provare ad affiancarmi a qualcuno che sia capace di provare le mie stesse sensazioni>>. Marta, silenziosa come sempre, mi avrebbe ascoltato, forse osservando qualcosa oltre le siepi polverose intorno alla scuola, e magari avrebbe annuito. <<Mi piace la mia solitudine>>, avrebbe spiegato lei; <<Però qualche volta mi sento disposta ad aiutare qualcuno>>. Poi avrebbe finto di mescolarsi con i suoi compagni di classe, e quando io con una scusa sarei andato a cercarla, mi avrebbe guardato per un attimo con indifferenza, come se non fosse stata importante anche per lei la nostra amicizia. <<Sono qui per te>>, le dico adesso nei miei pensieri, e lei con la sua espressione risponde che ci sono cose ben più importanti di certe sciocchezze. Poi le propongo di svolgere insieme qualche compito scolastico, a casa mia magari, dove c’è soltanto mia madre che trascorre il pomeriggio a tagliare e a cucire le stoffe nell’altra stanza. <<Va bene>>, mi fa, anche se capisco perfettamente che lo dice soltanto per farmi un favore, e forse per non essere troppo sgarbata con me. Più tardi, mentre stiamo seduti di fronte, con le mani tra i nostri quaderni appoggiati sul piano del tavolino, afferma che noi siamo soltanto delle ombre, delle figure ritagliate nella carta, e che strisciano sulle pareti, nient’altro. La osservo, non so dove riesca a trovare affermazioni del genere, però annuisco, anche perché sono convinto che in fondo ci sia del vero in queste sue parole.

Immagino che Marta abbia una casa piena di libri, e che trascorra molte ore a leggere pagine su pagine di curiosa letteratura di fantasia, anche se non le farei mai una sola domanda su questi temi. Quando ci salutiamo l’accompagno fino al portone in fondo alle scale, e lei, forse attraversata improvvisamente da qualche pensiero diverso dai suoi soliti, mi dà un piccolo bacio sulla guancia, senza dire una sola parola. Non mi posso fidare di una persona così, rifletto mentre lei si allontana. Pur proseguendo a tenere viva questa amicizia leggera e senza pretese, devo cercare di non farmi assolutamente prendere la mano da sentimenti diversi. Distacco ci vuole, con una ragazza così. Nessun coinvolgimento emotivo, rifletto, quasi che frequentarsi si dimostri un semplice tentativo come tanti altri di sconfiggere semplicemente la noia. La storia delle ombre però mi intriga, anche se sono soltanto un ragazzino, e se mi proietto in un futuro remoto mi vedo già insieme ad una schiera di figure appiattite sul muro, prive di una dimensione essenziale. Forse ha ragione Marta, penso ancora; inutile dibattersi alla ricerca di chissà che cosa: siamo soltanto ritagli di carta appoggiati su un muro. Mia madre prosegue a cucire, quando torno a salire le scale condominiali e a rientrare nel nostro appartamento. Forse, come in molti altri casi, non si è neanche accorta che c’era una mia compagna di scuola qua dentro, e che stiamo affinando la nostra amicizia, mettendo a punto il nostro futuro, giocando con pensieri fondamentali della nostra età. Comunque, so che non è affatto importante tutto questo, e che dobbiamo semplicemente tirare avanti ogni giorno, sentirsi fortunati se riusciamo ad essere già così come siamo, e la solitudine che sta dentro di noi è probabilmente soltanto qualcosa di innato, come l’incapacità manifesta a comunicare qualcosa a chiunque.

 

Bruno Magnolfi

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