Osservo una parete di casa mia, che
fino a poco fa era soltanto e semplicemente imbiancata, ed adesso invece presenta
una strana ombreggiatura che sembra quasi sortire fuori da dietro un mobile.
Guardo meglio, mi incuriosisco, ma non sembra proprio una chiazza d’umido o
qualcosa del genere; perciò, mi decido a spostare lo scaffale che ne nasconde
una buona parte, e con una certa fatica riesco a mettere in luce anche la parte
più nascosta. È la sagoma di un pesce stilizzato, non c’è alcun dubbio, ma non
è qualcosa che sembra abbia a che fare con la pittura o con l’intonaco. È un’ombra,
ecco di che cosa si tratta, anche se nella mia stanza non arriva quasi mai il
sole, e nonostante la luce della lampadina non sia proprio in grado di
proiettare una sagoma del genere sul muro. Poi si muove, il pesce sembra andare
avanti per conto proprio, pur lentamente, come se fosse su un fondale marino a
caccia di crostacei o di chissà che cosa. Giunge lentamente fino all’angolo
della stanza, e poi con calma sparisce, come se avesse scodato nell’acqua verso
un’altra zona di caccia. Resto ad osservare, e dopo un attimo arriva l’ombra di
un ragazzetto in calzoni corti che sembra come andare dietro al pesce. Non c’è
dubbio, sono io da piccolo, mentre cerco di inseguire l’anima di quel pesce di
cui adesso ricordo qualcosa. <<Ciao Paolo>>, gli dico nel momento
in cui lui inizia a mostrarsi più concretamente, mettendo da parte l’ombra e
colorando la sua sagoma in modo più naturale e verosimile. <<Era un pezzo
che non ti facevi vedere>>, gli faccio, e lui si schernisce, come se
volesse mettere subito in chiaro la sua solita e indubbia timidezza.
Quindi ci spostiamo, io rimetto al
suo posto lo scaffale scansato, lui si accosta al tavolino, e poi si siede. <<Quando
ripenso a quel periodo>>, gli dico mentre mi siedo anche io, <<mi
prende ancora una grande tristezza. Non so perché avessi catturato quel
pesciolino grigio mettendolo in un sacchetto di plastica, senza altro scopo, poi,
se non quello di portarlo fino a casa, come fanno i cani con la loro preda.
Però subito quel giorno mi ero reso conto che non era certo un comportamento
adeguato alla mia personalità, anche se quando avevo cercato di liberarmi di
quel pesce, avevo persino peggiorato le cose>>. Paolo tira su le spalle,
come se non avesse alcun interesse a ripercorrere quegli attimi, e difatti
tiene lo sguardo a terra, come per non dare alcun seguito a quei miei ricordi. Poi
si alza, va verso la parete, sicuramente desidera già andarsene, penso, e quindi
riprendere la sua dimensione di semplice ombra, per poi magari sparire come
prima dietro al mobile, ed io, che vorrei trattenerlo per chiedergli ancora
qualcosa, mi rendo conto che non ho l’autorità e le parole giuste per farlo, tanto
che mi limito a guardarlo mentre, come avevo immaginato, svanisce, e poi basta.
Potrei fare un disegno, penso, magari
usando delle matite colorate, o anche soltanto un carboncino nero, rifletto
all’improvviso: un disegno non troppo grande su di un foglio di carta, raffigurante
il mio pesciolino grigio durante gli anni della scuola, almeno così come lo
ricordo, e poi appenderlo da qualche parte, anche soltanto per rammentarmi ogni
tanto di qualcosa per cui provai a quell’epoca un sincero dispiacere derivato dalla
mia cattiva azione. Ma poi sorrido delle mie idee, mi alzo dal tavolo, prendo
la giacca ed esco dal mio appartamento. Sono tutte sciocchezze, rifletto, cose
senza importanza di cui peraltro non potrei parlarne con anima viva. Forse
l’unica persona che potrebbe riuscire, pur a modo suo, a mostrare un po’ di
comprensione per i miei strani ricordi che si intrecciano continuamente con la
mia giornata, è soltanto Marta, anche se riesco a vederla solamente quando le
pare a lei. Decido di passare da casa sua, di attenderla davanti al portone, di
provare anche a bussarle alla porta, se proprio riesco ad avere tutto questo
coraggio, e così mi avvio subito in quella direzione. Ma dopo poco inizio a
nutrire dei dubbi sulla giusta opportunità di una visita del genere, ed allora
rallento il passo, e poi mi fermo, quando già sono in vista del caseggiato dove
lei abita.
Mi piacerebbe avere la possibilità
di scambiare dei pensieri, delle opinioni, dei pareri sinceri con qualcuno proprio
come Marta, ma ho sempre più coscienza del fatto che questo risulta sempre più
difficile, e che il mio isolamento dagli altri è qualcosa di ormai assodato, praticamente
impossibile da rimuovere. Potrei ancora una volta prendermela con i miei anni
della scuola elementare, trascorsi in sostanza senza mai un vero dialogo con
anima viva, ma alla fine rifletto che se questo non è quasi avvenuto neanche in
seguito, non posso ancora incolparne quel periodo. Piuttosto, probabilmente è la
mia stessa incapacità a comunicare con chiunque che mi ha relegato in questa
profonda solitudine, e ormai non posso più fare nulla, penso, per tentare delle
variazioni.
Bruno Magnolfi
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