martedì 10 settembre 2024

Proiezione verso il futuro.


            Molto spesso intravedo ancora delle ombre sfumate che scorrono sul muro davanti a me. Non è più soltanto quella del ragazzetto che conosco anche troppo bene, considerato che sono io stesso, o almeno quello che ero ormai una trentina d’anni fa, così come ancora riesco ad immaginarne il profilo nella mia memoria. Adesso, però, proseguono a giungere volentieri davanti a me anche altre figure, fisionomie di persone che spesso neppure riconosco, pur essendo convinto che facciano tutte parte dei miei ricordi, e tra loro il ragazzetto dell’epoca della scuola, peraltro, risulta adesso sempre meno distinguibile in mezzo a tutti. Sono sicuro che rappresentano i tanti personaggi che ho conosciuto durante gli anni della mia giovinezza, molto probabilmente, ma in ogni caso nessuno di loro sembra aver voglia di dire niente, visto che si limitano soltanto a mostrare a me ognuno il proprio profilo, come se ciò fosse già più che sufficiente. Prendo servizio come ogni giorno nell’albergo dove svolgo il ruolo di portiere di notte, saluto i colleghi che intanto se ne vanno per la fine del turno, e poi mi piazzo da solo dietro al bancone del ricevimento, con il mio consueto impeccabile abbigliamento composto da giacca grigia, camicia bianca, calzoni in tinta ed una cravatta ben annodata. Non ci sono molti clienti in questo ultimo periodo, così mi metto comodo a leggere un libro che mi sono portato da casa. Però, dopo che ho dato le chiavi della camera ad un’ultima coppia di stranieri, ecco che giungono davanti ai miei occhi le prime ombre. Mi alzo, vado verso il muro, cerco di toccarle, ma sono del tutto impalpabili. Poi, molto più tardi, quasi a metà della notte, arriva Marta. Lei, al contrario delle altre presenze, risulta come ogni volta in carne ed ossa, e come sempre finge di passare da qui praticamente per caso, e con il solito tatto e la medesima gentilezza chiede in un soffio il permesso di entrare nella vasta sala deserta, e quindi in silenzio si fa da una parte, come per non dare troppo fastidio. <<Sono io ad inviarti le ombre>>, mi dice dopo un attimo di silenzio. <<Mi dispiace saperti da solo>>, mi fa; <<Senza mai una compagnia, isolato dagli altri; e così ho pensato che costringerti a riconoscere qualche figura diafana confrontando alcuni profili con i personaggi che trattieni nella tua memoria poteva essere una maniera per trascorrere meglio il tuo turno. Naturalmente, se tutto ciò per te è qualcosa di troppo opprimente, è sufficiente dirlo, e così smetterò”.

Ci trasferiamo nella saletta della caffetteria, e come al solito accendo subito e metto in pressione la macchina. Non dico niente, non mi sembra ci sia alcuna necessità di parole. Anche Marta adesso non dice niente, si limita a guardare qualcosa alle mie spalle e poi basta. Anche la sua, rifletto, è una frequentazione insolita e particolare, anche se i nostri trascorsi giovanili hanno fatto riemergere in noi due quel piccolo legame affettivo che avevamo interrotto in quegli anni. <<Non sono sicuro di avere davvero bisogno di compagnia>>, le dico senza troppa convinzione. <<Però riconoscere qualcuno in mezzo a quelle sagome che mi appaiono davanti, effettivamente mi piacerebbe, ed una volta ricordato qualche nome, forse potrei parlare con loro, e magari trovare il coraggio per togliermi qualche curiosità>>. Lei sorseggia il suo caffè, e se la osservo meglio mi sembra troppo magra, sciupata, come se non fosse interessata a conservare al meglio possibile la sua persona, il suo fisico da ragazza invecchiata. Rifletto per un momento in mezzo a questo silenzio notturno che forse riesce talvolta a tirare fuori da me degli elementi talmente evidenti da non essere affrontati mai, probabilmente solo perché appaiono scontati.  <<Non mi sembra comunque che quanto a compagnia dovresti preoccuparti troppo degli altri>>, le dico in un soffio, sapendo di toccare un argomento antipatico. Marta non risponde, però sorride leggermente, come sapesse perfettamente di essere stata colta nel vivo dei propri problemi, forse in ciò che più di tutto angustia il suo tempo presente.

Poi si alza dallo sgabello del bancone, si volta. <<Adesso devo andare>>, dice soltanto, ed io l’accompagno subito fino alla porta vetrata dell’albergo. Probabilmente riprenderemo questo argomento spinoso un’altra volta, lasciando come sempre sfilacciare i pensieri e le meditazioni in tutto il tempo di solitudine che ci troviamo davanti reciprocamente, mi immagino; magari, con il suo stile, lei tirerà fuori dal suo cappello, una di queste volte, qualcosa di nuovo che mi potrà lasciare interdetto, oppure si limiterà ad osservarmi in silenzio, per leggere sulla mia espressione sfuggente i miei stessi pensieri. In ogni caso, so perfettamente già da ora che toccherà a me scegliere la mossa migliore per evitare che le nostre esistenze così alla deriva non diventino soltanto delle abitudini, dei comportamenti del tutto usuali, privi di una pur piccola proiezione verso il futuro.

 

Bruno Magnolfi

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