Molto
spesso intravedo ancora delle ombre sfumate che scorrono sul muro davanti a me.
Non è più soltanto quella del ragazzetto che conosco anche troppo bene,
considerato che sono io stesso, o almeno quello che ero ormai una trentina
d’anni fa, così come ancora riesco ad immaginarne il profilo nella mia memoria.
Adesso, però, proseguono a giungere volentieri davanti a me anche altre figure,
fisionomie di persone che spesso neppure riconosco, pur essendo convinto che
facciano tutte parte dei miei ricordi, e tra loro il ragazzetto dell’epoca
della scuola, peraltro, risulta adesso sempre meno distinguibile in mezzo a
tutti. Sono sicuro che rappresentano i tanti personaggi che ho conosciuto
durante gli anni della mia giovinezza, molto probabilmente, ma in ogni caso
nessuno di loro sembra aver voglia di dire niente, visto che si limitano
soltanto a mostrare a me ognuno il proprio profilo, come se ciò fosse già più
che sufficiente. Prendo servizio come ogni giorno nell’albergo dove svolgo il
ruolo di portiere di notte, saluto i colleghi che intanto se ne vanno per la
fine del turno, e poi mi piazzo da solo dietro al bancone del ricevimento, con
il mio consueto impeccabile abbigliamento composto da giacca grigia, camicia
bianca, calzoni in tinta ed una cravatta ben annodata. Non ci sono molti
clienti in questo ultimo periodo, così mi metto comodo a leggere un libro che
mi sono portato da casa. Però, dopo che ho dato le chiavi della camera ad un’ultima
coppia di stranieri, ecco che giungono davanti ai miei occhi le prime ombre. Mi
alzo, vado verso il muro, cerco di toccarle, ma sono del tutto impalpabili.
Poi, molto più tardi, quasi a metà della notte, arriva Marta. Lei, al contrario
delle altre presenze, risulta come ogni volta in carne ed ossa, e come sempre
finge di passare da qui praticamente per caso, e con il solito tatto e la
medesima gentilezza chiede in un soffio il permesso di entrare nella vasta sala
deserta, e quindi in silenzio si fa da una parte, come per non dare troppo
fastidio. <<Sono io ad inviarti le ombre>>, mi dice dopo un attimo
di silenzio. <<Mi dispiace saperti da solo>>, mi fa; <<Senza
mai una compagnia, isolato dagli altri; e così ho pensato che costringerti a
riconoscere qualche figura diafana confrontando alcuni profili con i personaggi
che trattieni nella tua memoria poteva essere una maniera per trascorrere
meglio il tuo turno. Naturalmente, se tutto ciò per te è qualcosa di troppo
opprimente, è sufficiente dirlo, e così smetterò”.
Ci trasferiamo nella saletta
della caffetteria, e come al solito accendo subito e metto in pressione la
macchina. Non dico niente, non mi sembra ci sia alcuna necessità di parole.
Anche Marta adesso non dice niente, si limita a guardare qualcosa alle mie
spalle e poi basta. Anche la sua, rifletto, è una frequentazione insolita e
particolare, anche se i nostri trascorsi giovanili hanno fatto riemergere in
noi due quel piccolo legame affettivo che avevamo interrotto in quegli anni.
<<Non sono sicuro di avere davvero bisogno di compagnia>>, le dico
senza troppa convinzione. <<Però riconoscere qualcuno in mezzo a quelle
sagome che mi appaiono davanti, effettivamente mi piacerebbe, ed una volta
ricordato qualche nome, forse potrei parlare con loro, e magari trovare il
coraggio per togliermi qualche curiosità>>. Lei sorseggia il suo caffè, e
se la osservo meglio mi sembra troppo magra, sciupata, come se non fosse
interessata a conservare al meglio possibile la sua persona, il suo fisico da
ragazza invecchiata. Rifletto per un momento in mezzo a questo silenzio
notturno che forse riesce talvolta a tirare fuori da me degli elementi talmente
evidenti da non essere affrontati mai, probabilmente solo perché appaiono
scontati. <<Non mi sembra comunque
che quanto a compagnia dovresti preoccuparti troppo degli altri>>, le
dico in un soffio, sapendo di toccare un argomento antipatico. Marta non
risponde, però sorride leggermente, come sapesse perfettamente di essere stata
colta nel vivo dei propri problemi, forse in ciò che più di tutto angustia il
suo tempo presente.
Poi si alza dallo sgabello del
bancone, si volta. <<Adesso devo andare>>, dice soltanto, ed io
l’accompagno subito fino alla porta vetrata dell’albergo. Probabilmente
riprenderemo questo argomento spinoso un’altra volta, lasciando come sempre
sfilacciare i pensieri e le meditazioni in tutto il tempo di solitudine che ci
troviamo davanti reciprocamente, mi immagino; magari, con il suo stile, lei
tirerà fuori dal suo cappello, una di queste volte, qualcosa di nuovo che mi
potrà lasciare interdetto, oppure si limiterà ad osservarmi in silenzio, per
leggere sulla mia espressione sfuggente i miei stessi pensieri. In ogni caso,
so perfettamente già da ora che toccherà a me scegliere la mossa migliore per
evitare che le nostre esistenze così alla deriva non diventino soltanto delle
abitudini, dei comportamenti del tutto usuali, privi di una pur piccola
proiezione verso il futuro.
Bruno Magnolfi
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