Un giorno, mi sono trovato a
percorrere una strada che non conoscevo, e quando mi sono fermato per rendermi
conto di dove mi trovassi, ho avuto una sensazione netta, cioè come se qualcuno
mi stesse osservando. Mi sono guardato attorno, ho voltato la faccia da ogni
parte, ed alla fine ho intravisto solo un bambino piccolo che da dietro un
angolo scappava via. Quando questo sogno si è interrotto e mi sono svegliato,
ho capito che quel bambino semplicemente ero io stesso, mentre già all’età di
cinque o sei anni iniziavo a fuggire da tutti, alla ricerca di una meravigliosa
solitudine purtroppo mai raggiunta in modo davvero completo. <<Non mi va
di stare a casa>>, aveva poi detto il bambino. <<È molto meglio
cercare degli angoli tra le case da cui osservare quanto succede>>. Ecco,
questo comportamento sembra sia stato esattamente ciò che mi ha caratterizzato
più o meno fino ad oggi. Però non è una vera mancanza di socialità la mia,
piuttosto la chiamerei incapacità a comunicare, praticamente il bisogno
costante di rinchiudermi, piuttosto che dover spiegare a qualcun altro che cosa
mi stia passando per la testa. Svolgere il mestiere di portiere di notte in un
albergo, perciò, ha risposto pienamente alle mie aspettative, lasciandomi
praticamente da solo a controllare una portineria sempre quasi deserta e
comunque poco trafficata.
Ma adesso sembra che le cose abbiano
iniziato rapidamente a cambiare, e tutte queste ombre che mi appaiono quando
sono qui, non fanno altro che stuzzicare la mia sensibilità nel comprendere le
cose, nel tentativo di spiegare, per me stesso ed anche per tutti gli altri,
quali siano i motivi che sembrano spingermi, insieme alle persone attorno, a
fare o a non fare certe cose. Ha iniziato il ragazzetto della scuola elementare
con i suoi problemi a scansare tutti i compagni, e poi ha proseguito Marta, con
le sue inquietanti apparizioni praticamente senza alcuno scopo. Poi sono
arrivate le ombre di altre persone conosciute nel passato a strisciare sopra ai
muri dell’albergo e anche di casa mia, ed io non mi sono più sentito solo, ma
circondato da un sacco di gente con il loro carico di domande e di richieste
continue per delle ulteriori spiegazioni. Non lo so per quale motivo nella
scuola di via delle Matite non avessi alcun compagno a cui riferirmi, ma per me
era naturale dimostrarmi distaccato da tutti, e non ho neppure mai pensato di
poter essere diverso, anche se qualche volta ho incolpato quel ragazzetto che
apparivo allora di aver invalidato con quel comportamento tutto il mio futuro.
<<Non ha importanza>>,
dice Marta; <<ognuno è fatto alla propria maniera>>, e poi resta in
silenzio, sorseggiando il suo caffè quando passa dall’albergo a notte fonda.
Lei è una persona del tutto incomprensibile, già così com’era negli anni della
scuola di via delle Matite, ma per me cercare di seguire i suoi pensieri viene
naturale, anche se spesso mi disorienta con degli spudorati luoghi comuni. Però
mi basta la sua presenza, le poche volte che la vedo, per rendermi conto che siamo
ancora fatti, proprio come tanti anni fa, di una medesima pasta comune. Ho
cercato di parlare con lei, una sera, del suo portachiavi che mi aveva
regalato, quel piccolo pinguino di plastica che da quel momento mi sono portato
dietro per un sacco di tempo, ma lei si è limitata a sollevare una spalla, come
se il suo dono non fosse stato un gesto di qualche rilevanza, oppure se non
ricordasse affatto quel momento. Invece, una volta, ha tirato fuori un
pesciolino intagliato nel legno, e mi ha chiesto se lo ricordassi. Mi sono sentito
attraversare da forti brividi immaginando i significati possibili dietro quella
sua domanda, ma anche io ho cercato di nascondere l’importanza della cosa, e
Marta non si è certo prodigata ad insistere. Anzi, subito dopo se n’è andata,
lasciando dietro di sé un’aura di stregoneria nell’intercettare con semplicità
i miei ricordi e i miei pensieri.
Anche lei fa parte di tutte quelle
ombre che scivolano accanto a me insistendo nel farmi presente qualcosa della
mia vita, penso, ed io certe volte non so neppure più distinguere se tutto
quanto sia la realtà oppure solo un sogno, magari un surrogato della verità
creata da una mente ormai annebbiata come la mia. Poi penso che vorrei fare
qualcosa per Marta, qualcosa che non apparisse minimamente banale, ma presto
devo smettere con questo pensiero, perché mi perdo nel cercare di comprendere
cosa mai potrebbe davvero farle piacere. Già, perché Marta è enigmatica,
sfuggente, una donna per certi versi incomprensibile, e nonostante io sia
affezionato a questa persona, lei non dimostra minimamente di esserlo nei miei
confronti. In ogni caso, pur avvertendo costantemente la freddezza del suo
rapporto verso di me, non posso certo dire che il suo modo di comportarsi sia
diverso da quello che usava ai tempi della scuola. A quell’epoca sembrava
indifferente quasi a tutto, e visto che io non desideravo in alcun modo
dimostrare di essere da meno verso di lei, le usavo quasi sempre con
naturalezza la medesima totale indifferenza.
Bruno Magnolfi
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