sabato 28 settembre 2024

Soltanto per salutarla.


            Sono immobile, ed attendo solo che, uscendo da dietro al solito scaffale, si facciano vedere come sempre lungo la parete le stesse ombre che ogni volta che sono sovrappensiero vengono ad affollare i miei turni di lavoro solitari che svolgo come portiere di notte dell’albergo. Non mi meraviglio neppure più del loro scorrere lentamente mostrando ognuna il proprio profilo, ma adesso, stranamente, dopo aver atteso un bel po’ di tempo, ecco che escono fuori le sagome di due ragazzetti che si tengono per mano. Guarda meglio: siamo esattamente io e Marta ai tempi della scuola di via delle Matite, non c’è alcun dubbio, ma resto sinceramente piuttosto sorpreso: non ho alcun ricordo di aver mai tenuto per mano lei in quegli anni, così come non ho memoria di averla mai toccata, se non accidentalmente. Invece, qui sul muro, questi due che ho di fronte sembrano ora quasi contenti di questa reciproca vicinanza, come fossero abituati all’abbraccio, alla confidenza, all’intimità, ed io non so spiegarmi se tutto questo sia soltanto il frutto di un desiderio di ambedue, peraltro tenuto sempre nascosto l’uno all’altra per evitare complicazioni, oppure sia, in questo esatto momento, semplicemente la proiezione di qualcosa che avrebbe anche potuto essere, ma purtroppo non si è mai verificato. Insomma, in ogni caso, è come se queste ombre iniziassero ad avere una vita propria, e proponessero delle variazioni concrete rispetto a quella che è stata sempre la realtà.

            Poi le due figure si fermano, restano immobili per qualche momento, quindi le loro sagome, grigie fino adesso, iniziano a dotarsi dei colori naturali di ogni persona, staccandosi dal muro e riprendendo le proprie ordinarie fattezze. Quando infine si voltano tutti e due verso di me appaiono sorridenti, quasi divertite, in un modo che mi sembra sinceramente poco affine ai ricordi che ho di quelle volte in cui camminavamo insieme nei dintorni della scuola. <<Sto bene>>, dice lei guardandomi soltanto di sfuggita. Io annuisco, cerco qualche parola per alimentare la conversazione, ma non trovando niente da dire, mi giro su me stesso sorridendo, quasi come fossi contento di quello che ha appena finito di spiegare Marta, la piccola Marta di cui non avevo neppure troppi ricordi. Quindi torno dietro al bancone del ricevimento, osservo qualcosa sul piano davanti a me come a dare importanza al mio lavoro, ma quando torno a guardare verso i due ragazzi, loro non ci sono più. Non so che senso abbiano queste strane apparizioni, però è evidente che non possono essere per me un vero passatempo, considerato che mi mettono sempre in soggezione, quasi in difficoltà con il loro portato di conseguenze. Se ci penso attentamente, poi, è la prima volta che vedo davanti a me Marta così com’era, o come io la ricordo, in quegli anni della scuola. Penso adesso che avrei voglia di chiederle qualcosa di più di quel periodo: quali fossero i suoi pensieri, le sue apprensioni, i suoi desideri, però mi rendo conto che è difficile impostare un dialogo con lei.

            Non trascorre molto tempo, ed ecco che giunge Marta, quella di oggi intendo, che si fa vedere come al suo solito alla vetrata dell’ingresso, quasi a chiedere il permesso per entrare, ma senza fare alcun gesto né domandare qualcosa di particolare. Aziono l’apertura automatica, e lei fa un passo dentro al vasto ingresso, poi si ferma, mi guarda, attende che io esca da dietro al bancone e vada verso di lei, poi dice soltanto: <<È arrivata anche lei, stasera. Non è vero?>>. Faccio un cenno affermativo con il capo, lei cerca qualcosa nella sua borsetta, le chiedo se posso prepararle il suo solito caffè, e lei mi segue lentamente fino alla caffetteria. Si siede davanti a me, sembra nervosa, forse vuol dirmi qualcosa di importante, penso. <<Non so per quale motivo si sia fatta vedere da te anche la mia ombra>>, dice; <<però sono sicura che non si sia comportata in un modo tale da rispecchiare coerentemente il nostro comune passato, ed abbia messo del suo nei propri atteggiamenti, come se tutto il tempo trascorso potesse suggerire come nuova una vita propria>>. Non so che dire, sono perplesso; la guardo, cerco di comprendere il vero motivo che porti Marta ad essere così irritata per quello che si è mostrata d’essere quando era soltanto una ragazzina, e sono quasi sul punto di dire che forse è dentro ai miei ricordi che le cose e i fatti si confondono, ma poi resto in silenzio.

            Devo prendere le distanze da queste incursioni di ombre e di memoria, penso, e farlo anche in fretta, almeno avanti che queste figure che mi si presentano si trasformino in veri e propri spettri. Forse Marta adesso pensa qualcosa di simile a ciò che penso io; forse il suo desiderio attuale potrebbe essere quello di aiutare me nel liberare la mente da tutte queste stranezze che continuano a scorrazzare davanti ai miei occhi, ma è difficile, perché probabilmente tutt’e due crediamo all’improvviso che tutto quanto si sia fatto troppo complicato. Poi se ne va, mi guarda per un attimo quando ormai è accanto alla porta a vetri, come volesse mostrarmi un semplice moto di comprensione, e quindi esce, mentre io sollevo una mano, ma giusto per salutarla.

 

            Bruno Magnolfi     

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