Sono
immobile, ed attendo solo che, uscendo da dietro al solito scaffale, si
facciano vedere come sempre lungo la parete le stesse ombre che ogni volta che
sono sovrappensiero vengono ad affollare i miei turni di lavoro solitari che
svolgo come portiere di notte dell’albergo. Non mi meraviglio neppure più del
loro scorrere lentamente mostrando ognuna il proprio profilo, ma adesso,
stranamente, dopo aver atteso un bel po’ di tempo, ecco che escono fuori le
sagome di due ragazzetti che si tengono per mano. Guarda meglio: siamo
esattamente io e Marta ai tempi della scuola di via delle Matite, non c’è alcun
dubbio, ma resto sinceramente piuttosto sorpreso: non ho alcun ricordo di aver
mai tenuto per mano lei in quegli anni, così come non ho memoria di averla mai
toccata, se non accidentalmente. Invece, qui sul muro, questi due che ho di
fronte sembrano ora quasi contenti di questa reciproca vicinanza, come fossero
abituati all’abbraccio, alla confidenza, all’intimità, ed io non so spiegarmi
se tutto questo sia soltanto il frutto di un desiderio di ambedue, peraltro
tenuto sempre nascosto l’uno all’altra per evitare complicazioni, oppure sia,
in questo esatto momento, semplicemente la proiezione di qualcosa che avrebbe
anche potuto essere, ma purtroppo non si è mai verificato. Insomma, in ogni
caso, è come se queste ombre iniziassero ad avere una vita propria, e
proponessero delle variazioni concrete rispetto a quella che è stata sempre la
realtà.
Poi le due
figure si fermano, restano immobili per qualche momento, quindi le loro sagome,
grigie fino adesso, iniziano a dotarsi dei colori naturali di ogni persona,
staccandosi dal muro e riprendendo le proprie ordinarie fattezze. Quando infine
si voltano tutti e due verso di me appaiono sorridenti, quasi divertite, in un
modo che mi sembra sinceramente poco affine ai ricordi che ho di quelle volte
in cui camminavamo insieme nei dintorni della scuola. <<Sto bene>>,
dice lei guardandomi soltanto di sfuggita. Io annuisco, cerco qualche parola
per alimentare la conversazione, ma non trovando niente da dire, mi giro su me
stesso sorridendo, quasi come fossi contento di quello che ha appena finito di
spiegare Marta, la piccola Marta di cui non avevo neppure troppi ricordi.
Quindi torno dietro al bancone del ricevimento, osservo qualcosa sul piano
davanti a me come a dare importanza al mio lavoro, ma quando torno a guardare
verso i due ragazzi, loro non ci sono più. Non so che senso abbiano queste
strane apparizioni, però è evidente che non possono essere per me un vero
passatempo, considerato che mi mettono sempre in soggezione, quasi in
difficoltà con il loro portato di conseguenze. Se ci penso attentamente, poi, è
la prima volta che vedo davanti a me Marta così com’era, o come io la ricordo,
in quegli anni della scuola. Penso adesso che avrei voglia di chiederle
qualcosa di più di quel periodo: quali fossero i suoi pensieri, le sue
apprensioni, i suoi desideri, però mi rendo conto che è difficile impostare un
dialogo con lei.
Non
trascorre molto tempo, ed ecco che giunge Marta, quella di oggi intendo, che si
fa vedere come al suo solito alla vetrata dell’ingresso, quasi a chiedere il
permesso per entrare, ma senza fare alcun gesto né domandare qualcosa di
particolare. Aziono l’apertura automatica, e lei fa un passo dentro al vasto
ingresso, poi si ferma, mi guarda, attende che io esca da dietro al bancone e
vada verso di lei, poi dice soltanto: <<È arrivata anche lei, stasera.
Non è vero?>>. Faccio un cenno affermativo con il capo, lei cerca
qualcosa nella sua borsetta, le chiedo se posso prepararle il suo solito caffè,
e lei mi segue lentamente fino alla caffetteria. Si siede davanti a me, sembra
nervosa, forse vuol dirmi qualcosa di importante, penso. <<Non so per
quale motivo si sia fatta vedere da te anche la mia ombra>>, dice;
<<però sono sicura che non si sia comportata in un modo tale da
rispecchiare coerentemente il nostro comune passato, ed abbia messo del suo nei
propri atteggiamenti, come se tutto il tempo trascorso potesse suggerire come
nuova una vita propria>>. Non so che dire, sono perplesso; la guardo,
cerco di comprendere il vero motivo che porti Marta ad essere così irritata per
quello che si è mostrata d’essere quando era soltanto una ragazzina, e sono
quasi sul punto di dire che forse è dentro ai miei ricordi che le cose e i fatti
si confondono, ma poi resto in silenzio.
Devo
prendere le distanze da queste incursioni di ombre e di memoria, penso, e farlo
anche in fretta, almeno avanti che queste figure che mi si presentano si
trasformino in veri e propri spettri. Forse Marta adesso pensa qualcosa di
simile a ciò che penso io; forse il suo desiderio attuale potrebbe essere
quello di aiutare me nel liberare la mente da tutte queste stranezze che
continuano a scorrazzare davanti ai miei occhi, ma è difficile, perché
probabilmente tutt’e due crediamo all’improvviso che tutto quanto si sia fatto
troppo complicato. Poi se ne va, mi guarda per un attimo quando ormai è accanto
alla porta a vetri, come volesse mostrarmi un semplice moto di comprensione, e
quindi esce, mentre io sollevo una mano, ma giusto per salutarla.
Bruno
Magnolfi
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