domenica 15 settembre 2024

Comprensione reciproca.


Cammino da solo, in un pomeriggio qualsiasi dopo la scuola, allontanandomi svogliatamente dalle case del centro abitato, scorrendo con calma la riva di un piccolo ruscello, fino a giungere in un punto dove l'acqua si allarga in una vasta pozza verde, quasi un laghetto. Su di un lato dello specchio d’acqua giunge, dalla parte più in alto, una cascatella di pochi centimetri tra alcuni sassi lucidi, ed io mi siedo sui talloni ad osservarne il corso e ad ascoltarne il gorgogliare monotono. Poi mi accorgo che un paio di pesciolini grigi sono trascinati dalla pur debole corrente, e cadono, senza riceverne alcun danno e malgrado i loro sforzi per nuotare nel senso opposto, giù nella pozza. Dopo qualche tentativo, tramite una busta di plastica che mi ritrovo in una tasca del giubbotto, riesco addirittura a catturarne uno, mentre ne arrivano anche altri dal piccolo torrente che alimenta il laghetto, e a trattenerlo nel sacchetto insieme ad una piccola quantità d’acqua. Quel contenitore improvvisato deve però avere un piccolo foro, e difatti gocciola dal fondo bagnandomi un po’ anche le scarpe e i calzoni, ma in ogni caso penso proprio che dovrei farcela a giungere fino a casa avanti che si svuoti completamente. Quando arrivo a salire le scale, difatti, è rimasta soltanto una minima quantità di elemento liquido, ed il pesce sembra adesso stazionare perplesso in quelle due dita rimaste, quando poi entro in casa, prendo una bacinella e la riempio, e trasferisco là dentro il pesciolino, per iniziare subito ad osservarlo mentre guizza da un lato a quell’altro. Non so che pesce sia, ma questo in fondo non ha alcuna importanza: è lungo circa come un dito della mia mano, ed è vivo, vivace, quasi un simbolo della natura libera ed autonoma, o almeno lo era fino ad un attimo prima del mio intervento.

Mi piace sentirmi in grado di catturare un piccolo animale del genere e di avere su di lui il potere decisionale sulla sua vita, ma dopo poco che ci rifletto comprendo che non dovrei tenerlo con me, la sua natura non è fatta per questo scopo, e provo subito un certo dispiacere per la mia azione. Quando infine decido di rovesciare la bacinella con il pesciolino nello scarico dell’acquaio, lo faccio sperando che quel piccolo animale ritrovi così in qualche modo la sua piena libertà, anche se so quasi per certo di condannarlo alla morte. Mi viene da piangere nel riflettere alla cattiveria con cui l’ho trattato, ma sistemo subito la bacinella al suo posto e torno ad uscire da casa. Mia madre, nell’altra stanza, sicuramente non si è accorta di niente, ma io mi sento ugualmente colpevole, tanto che adesso cammino nervosamente per strada, rinchiuso il più possibile nel mio dolore e nella mia solitudine. Mi siedo su una panchina e dopo poco arriva Marta insieme ad una sua amica. Si siedono accanto a me senza dire niente, ed io all’improvviso provo il desiderio profondo di essere abbracciato, di essere stretto, consolato, compreso nel mio dolore. <<Che stai facendo?>>, mi chiede Marta dopo qualche minuto, ma io non riesco a parlare, ed ho bisogno soltanto di silenzio, e in nessun caso riuscirei a spiegare il mio stato d’animo. <<Vuoi stare da solo?>>, dice lei, ed io non riesco neppure a rispondere, perché vorrei semplicemente sentirmi vicino a loro due, anche se in questo momento non potrei mai parlare con nessuno, tanto meno accennare a quello che davvero mi passa dentro la mente. Se ne vanno, mi piacerebbe avere il potere di trattenerle in qualche maniera, ma capisco che è probabilmente impossibile, così abbasso lo sguardo, e non le saluto neppure.

Che cosa mi interessa degli altri, rifletto: io adesso sono con il mio pesciolino adorato, nuoto con lui e sto lottando insieme a lui con tutte le forze che abbiamo per la stessa identica sopravvivenza, immersi come ci ritroviamo in chissà quale fogna, alla ricerca disperata dei nostri simili, di quel branco di pesci da cui siamo stati separati da mano crudele. Mi alzo in piedi, sono dispiaciuto della mia leggerezza, è evidente, e per questo forse non potrò mai perdonarmi il gesto che ho fatto, e quando incontro alcuni compagni di scuola lungo la strada, vorrei schiaffeggiare tutti quanti soltanto per dimostrare a loro il mio disappunto e la mia rabbia. Poi, per evitare problemi, riprendo il viottolo di fianco al ruscello e rapidamente ritrovo il laghetto. Mi immergo lentamente fino alle spalle, con le scarpe e i vestiti, e rimango nell’acqua fredda e fangosa fino a quando, non so come, riesco piacevolmente a percepire la presenza di decine di pesciolini che nuotano liberi intorno a me. Quando infine esco dal laghetto mi ritrovo completamente fradicio e sporco, però mi sento in qualche modo in pace con me stesso, come se avessi superato una prova. Ho tenuto con me per quanto potevo un piccolo pesce, penso, poi ho restituito a lui la propria libertà, ma nessuno di noi due potrà facilmente dimenticare la nostra esperienza: un contatto meraviglioso, una comprensione reciproca.

 

Bruno Magnolfi

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