Cammino da solo, in un pomeriggio
qualsiasi dopo la scuola, allontanandomi svogliatamente dalle case del centro
abitato, scorrendo con calma la riva di un piccolo ruscello, fino a giungere in
un punto dove l'acqua si allarga in una vasta pozza verde, quasi un laghetto.
Su di un lato dello specchio d’acqua giunge, dalla parte più in alto, una
cascatella di pochi centimetri tra alcuni sassi lucidi, ed io mi siedo sui
talloni ad osservarne il corso e ad ascoltarne il gorgogliare monotono. Poi mi
accorgo che un paio di pesciolini grigi sono trascinati dalla pur debole
corrente, e cadono, senza riceverne alcun danno e malgrado i loro sforzi per
nuotare nel senso opposto, giù nella pozza. Dopo qualche tentativo, tramite una
busta di plastica che mi ritrovo in una tasca del giubbotto, riesco addirittura
a catturarne uno, mentre ne arrivano anche altri dal piccolo torrente che
alimenta il laghetto, e a trattenerlo nel sacchetto insieme ad una piccola
quantità d’acqua. Quel contenitore improvvisato deve però avere un piccolo foro,
e difatti gocciola dal fondo bagnandomi un po’ anche le scarpe e i calzoni, ma in
ogni caso penso proprio che dovrei farcela a giungere fino a casa avanti che si
svuoti completamente. Quando arrivo a salire le scale, difatti, è rimasta
soltanto una minima quantità di elemento liquido, ed il pesce sembra adesso
stazionare perplesso in quelle due dita rimaste, quando poi entro in casa,
prendo una bacinella e la riempio, e trasferisco là dentro il pesciolino, per
iniziare subito ad osservarlo mentre guizza da un lato a quell’altro. Non so
che pesce sia, ma questo in fondo non ha alcuna importanza: è lungo circa come
un dito della mia mano, ed è vivo, vivace, quasi un simbolo della natura libera
ed autonoma, o almeno lo era fino ad un attimo prima del mio intervento.
Mi piace sentirmi in grado di
catturare un piccolo animale del genere e di avere su di lui il potere
decisionale sulla sua vita, ma dopo poco che ci rifletto comprendo che non
dovrei tenerlo con me, la sua natura non è fatta per questo scopo, e provo subito
un certo dispiacere per la mia azione. Quando infine decido di rovesciare la
bacinella con il pesciolino nello scarico dell’acquaio, lo faccio sperando che
quel piccolo animale ritrovi così in qualche modo la sua piena libertà, anche
se so quasi per certo di condannarlo alla morte. Mi viene da piangere nel
riflettere alla cattiveria con cui l’ho trattato, ma sistemo subito la
bacinella al suo posto e torno ad uscire da casa. Mia madre, nell’altra stanza,
sicuramente non si è accorta di niente, ma io mi sento ugualmente colpevole,
tanto che adesso cammino nervosamente per strada, rinchiuso il più possibile
nel mio dolore e nella mia solitudine. Mi siedo su una panchina e dopo poco
arriva Marta insieme ad una sua amica. Si siedono accanto a me senza dire
niente, ed io all’improvviso provo il desiderio profondo di essere abbracciato,
di essere stretto, consolato, compreso nel mio dolore. <<Che stai
facendo?>>, mi chiede Marta dopo qualche minuto, ma io non riesco a
parlare, ed ho bisogno soltanto di silenzio, e in nessun caso riuscirei a
spiegare il mio stato d’animo. <<Vuoi stare da solo?>>, dice lei,
ed io non riesco neppure a rispondere, perché vorrei semplicemente sentirmi
vicino a loro due, anche se in questo momento non potrei mai parlare con
nessuno, tanto meno accennare a quello che davvero mi passa dentro la mente. Se
ne vanno, mi piacerebbe avere il potere di trattenerle in qualche maniera, ma
capisco che è probabilmente impossibile, così abbasso lo sguardo, e non le
saluto neppure.
Che cosa mi interessa degli altri,
rifletto: io adesso sono con il mio pesciolino adorato, nuoto con lui e sto
lottando insieme a lui con tutte le forze che abbiamo per la stessa identica
sopravvivenza, immersi come ci ritroviamo in chissà quale fogna, alla ricerca
disperata dei nostri simili, di quel branco di pesci da cui siamo stati
separati da mano crudele. Mi alzo in piedi, sono dispiaciuto della mia
leggerezza, è evidente, e per questo forse non potrò mai perdonarmi il gesto
che ho fatto, e quando incontro alcuni compagni di scuola lungo la strada,
vorrei schiaffeggiare tutti quanti soltanto per dimostrare a loro il mio
disappunto e la mia rabbia. Poi, per evitare problemi, riprendo il viottolo di
fianco al ruscello e rapidamente ritrovo il laghetto. Mi immergo lentamente
fino alle spalle, con le scarpe e i vestiti, e rimango nell’acqua fredda e
fangosa fino a quando, non so come, riesco piacevolmente a percepire la
presenza di decine di pesciolini che nuotano liberi intorno a me. Quando infine
esco dal laghetto mi ritrovo completamente fradicio e sporco, però mi sento in
qualche modo in pace con me stesso, come se avessi superato una prova. Ho
tenuto con me per quanto potevo un piccolo pesce, penso, poi ho restituito a
lui la propria libertà, ma nessuno di noi due potrà facilmente dimenticare la
nostra esperienza: un contatto meraviglioso, una comprensione reciproca.
Bruno Magnolfi
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