mercoledì 25 settembre 2024

Separata conduzione.


            Non me ne frega quasi niente di me stessa, figuriamoci degli altri. Però vivo di contraddizioni, per cui non mi sento mai del tutto sicura di quanto vado stabilendo. Se c’è una cosa di cui mi rammarico continuamente, è quella comunque di non aver mai avvicinato nessuno sentimentalmente, restando sempre e soltanto ai margini delle relazioni, e spesso da sola, per i fatti miei, immaginando che tutti intorno a me fossero soltanto degli estranei inavvicinabili. Forse sussiste un fondo di paura dentro la mia personalità, in ogni caso non ho mai trovato delle persone che mi dessero sufficiente fiducia da lasciare loro la possibilità di conoscermi troppo, tanto da farmi scambiare con qualcuno delle vere opinioni, così come non mi sono mai interessata di nessuna persona in particolare che mi abbia avvicinato in qualche modo. Anche quando andavo a scuola, in via delle Matite, i miei compagni di classe parevano costantemente lontani da me, tutti persi dietro a degli argomenti che a me apparivano semplicemente futili, proprio poco interessanti. Quando mi incontrai con Paolo, invece, ebbi subito un sussulto: era uno dei pochi che sapeva starti accanto senza parlare, senza la necessità di incalzarti con delle domande dirette e curiose, oppure intavolando qualche argomento sciocco, limitandosi invece a lasciare libero e ininterrotto il fluire dei pensieri dentro la mia testa e forse anche dentro la sua. Era il silenzio a contraddistinguere la nostra conoscenza reciproca, ma con l’andare del tempo dovetti rendermi conto che in questo modo non scambiavamo mai, in quei pochi momenti che rimanevamo fermi in piedi uno di fronte all’altra, nessuna riflessione personale che fosse capace di portare ad un relazionarsi più profondo.   

            Ricordo che andammo avanti per un pezzo a comportarci in questa maniera, a volte cercandosi con gli occhi quando eravamo sufficientemente a distanza nel cortile o davanti alla scuola, e stando più vicini solo in qualche occasione, ma senza mai guardarsi quando poi eravamo accanto, lasciando agli altri la confusione e le risate che ci parevano quasi provenire da un’altra dimensione. Credo, in tutto quel periodo, di non averlo mai chiamato per nome, neanche una volta, limitandomi ad avvertire la sua presenza come una sensazione insolita, certe volte colma d’ansia, quasi come una specie di raccolta di grumi colmi soltanto di insoddisfazione. Ricordo che in quelle occasioni pronunciavo, quando dovevo proprio dire qualcosa, una sola parola per volta, senza cercarne mai alcuna congiunzione con delle altre, quasi dipanando la trama di un tessuto composto soltanto da elementi isolati, e senza dare mai un senso davvero compiuto a quanto sillabavo a voce, se non dentro la mia mente, che invece aveva ben chiaro tutto il disegno completo. Forse, in questo modo, stavo così evitando qualsiasi spiegazione possibile dei miei pensieri, gettando là delle macchie di colore quasi inesplicabili, ma Paolo appariva sempre molto attento, capace persino di azzardare qualche possibile interpretazione, come comprendesse alla perfezione tutte le parti che mancavano dai nostri dialoghi. Quarant’anni dopo, non è molto diverso il nostro comportarsi, e nessuno di noi due ha chiesto all’altro che cosa mai ci sia accaduto in tutto questo periodo. Non ha alcuna importanza, viene ovviamente quasi suggerito dai nostri comportamenti, e non esiste alcun passato, niente di niente, perché l’elemento fondamentale di noi stessi è solo il presente, e poi nient’altro.

<<Eravamo simili>>, dice Paolo adesso, ed io alzo una spalla, come a spiegare che a mio parere non è del tutto così, e ad indicargli soprattutto che alla fine non fa nemmeno troppa differenza, in un caso o nell’altro. Perché, se ci intestardiamo a scavare bene fino in fondo, vorrei spiegargli, siamo soltanto due individui isolati, senza alcun vero contatto neppure tra di noi. Non mi interessa che lui comprenda il mio modo di essere, adesso, così come negli anni della scuola; a me basta che le nostre personalità ogni tanto tornino a sfiorarsi, come se non ci fosse alcuna necessità di toccarsi per davvero, e fosse sufficiente soltanto sapere che ci siamo, da qualche parte, ed abbiamo la possibilità di stare dalla stessa parte. Io e lui, credo che possiamo definirci una specie di alleati, e poi anche dei complici di qualche attività, anche se non saprei dire perfettamente quale essa sia. Ciò che resta maggiormente importante è che ognuno di noi rispetta la solitudine dell’altro, e che quindi i nostri incontri sono dati soltanto dal caso, dalla noia, dal bisogno di trovare ogni tanto un’espressione meglio conosciuta. Sono convinta che Paolo comprenda perfettamente questa idea, e la compagnia di ombre che gli appaiono ogni tanto davanti, raffiguranti persone che ha conosciuto, o rappresentanti di fatti avvenuti, sia già più che sufficiente. <<Marta>>, mi chiede; <<sono convinto che sia proprio tu ad inviarmi qualche volta queste ombre sfumate che strisciano lungo le pareti>>. Non dico niente, neppure gli rispondo, anche perché ormai è del tutto evidente come siano proprio i miei pensieri a creare attorno a lui le suggestioni che intravede. Poi me ne vado, non occorre neppure salutarci. In ogni caso è come se restassimo ancora assieme, come se le nostre presenze avessero una propria separata ma unitaria conduzione, e noi non potessimo proprio farci niente.

 

Bruno Magnolfi

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