Non me ne frega quasi
niente di me stessa, figuriamoci degli altri. Però vivo di contraddizioni, per
cui non mi sento mai del tutto sicura di quanto vado stabilendo. Se c’è una
cosa di cui mi rammarico continuamente, è quella comunque di non aver mai
avvicinato nessuno sentimentalmente, restando sempre e soltanto ai margini
delle relazioni, e spesso da sola, per i fatti miei, immaginando che tutti
intorno a me fossero soltanto degli estranei inavvicinabili. Forse sussiste un
fondo di paura dentro la mia personalità, in ogni caso non ho mai trovato delle
persone che mi dessero sufficiente fiducia da lasciare loro la possibilità di
conoscermi troppo, tanto da farmi scambiare con qualcuno delle vere opinioni,
così come non mi sono mai interessata di nessuna persona in particolare che mi abbia
avvicinato in qualche modo. Anche quando andavo a scuola, in via delle Matite,
i miei compagni di classe parevano costantemente lontani da me, tutti persi
dietro a degli argomenti che a me apparivano semplicemente futili, proprio poco
interessanti. Quando mi incontrai con Paolo, invece, ebbi subito un sussulto:
era uno dei pochi che sapeva starti accanto senza parlare, senza la necessità
di incalzarti con delle domande dirette e curiose, oppure intavolando qualche
argomento sciocco, limitandosi invece a lasciare libero e ininterrotto il
fluire dei pensieri dentro la mia testa e forse anche dentro la sua. Era il
silenzio a contraddistinguere la nostra conoscenza reciproca, ma con l’andare
del tempo dovetti rendermi conto che in questo modo non scambiavamo mai, in
quei pochi momenti che rimanevamo fermi in piedi uno di fronte all’altra,
nessuna riflessione personale che fosse capace di portare ad un relazionarsi
più profondo.
Ricordo che andammo
avanti per un pezzo a comportarci in questa maniera, a volte cercandosi con gli
occhi quando eravamo sufficientemente a distanza nel cortile o davanti alla
scuola, e stando più vicini solo in qualche occasione, ma senza mai guardarsi
quando poi eravamo accanto, lasciando agli altri la confusione e le risate che
ci parevano quasi provenire da un’altra dimensione. Credo, in tutto quel
periodo, di non averlo mai chiamato per nome, neanche una volta, limitandomi ad
avvertire la sua presenza come una sensazione insolita, certe volte colma
d’ansia, quasi come una specie di raccolta di grumi colmi soltanto di
insoddisfazione. Ricordo che in quelle occasioni pronunciavo, quando dovevo
proprio dire qualcosa, una sola parola per volta, senza cercarne mai alcuna
congiunzione con delle altre, quasi dipanando la trama di un tessuto composto
soltanto da elementi isolati, e senza dare mai un senso davvero compiuto a
quanto sillabavo a voce, se non dentro la mia mente, che invece aveva ben
chiaro tutto il disegno completo. Forse, in questo modo, stavo così evitando
qualsiasi spiegazione possibile dei miei pensieri, gettando là delle macchie di
colore quasi inesplicabili, ma Paolo appariva sempre molto attento, capace
persino di azzardare qualche possibile interpretazione, come comprendesse alla
perfezione tutte le parti che mancavano dai nostri dialoghi. Quarant’anni dopo,
non è molto diverso il nostro comportarsi, e nessuno di noi due ha chiesto
all’altro che cosa mai ci sia accaduto in tutto questo periodo. Non ha alcuna
importanza, viene ovviamente quasi suggerito dai nostri comportamenti, e non
esiste alcun passato, niente di niente, perché l’elemento fondamentale di noi stessi
è solo il presente, e poi nient’altro.
<<Eravamo simili>>, dice Paolo adesso, ed
io alzo una spalla, come a spiegare che a mio parere non è del tutto così, e ad
indicargli soprattutto che alla fine non fa nemmeno troppa differenza, in un
caso o nell’altro. Perché, se ci intestardiamo a scavare bene fino in fondo,
vorrei spiegargli, siamo soltanto due individui isolati, senza alcun vero
contatto neppure tra di noi. Non mi interessa che lui comprenda il mio modo di
essere, adesso, così come negli anni della scuola; a me basta che le nostre
personalità ogni tanto tornino a sfiorarsi, come se non ci fosse alcuna
necessità di toccarsi per davvero, e fosse sufficiente soltanto sapere che ci
siamo, da qualche parte, ed abbiamo la possibilità di stare dalla stessa parte.
Io e lui, credo che possiamo definirci una specie di alleati, e poi anche dei
complici di qualche attività, anche se non saprei dire perfettamente quale essa
sia. Ciò che resta maggiormente importante è che ognuno di noi rispetta la
solitudine dell’altro, e che quindi i nostri incontri sono dati soltanto dal
caso, dalla noia, dal bisogno di trovare ogni tanto un’espressione meglio conosciuta.
Sono convinta che Paolo comprenda perfettamente questa idea, e la compagnia di
ombre che gli appaiono ogni tanto davanti, raffiguranti persone che ha
conosciuto, o rappresentanti di fatti avvenuti, sia già più che sufficiente.
<<Marta>>, mi chiede; <<sono convinto che sia proprio tu ad
inviarmi qualche volta queste ombre sfumate che strisciano lungo le
pareti>>. Non dico niente, neppure gli rispondo, anche perché ormai è del
tutto evidente come siano proprio i miei pensieri a creare attorno a lui le
suggestioni che intravede. Poi me ne vado, non occorre neppure salutarci. In
ogni caso è come se restassimo ancora assieme, come se le nostre presenze
avessero una propria separata ma unitaria conduzione, e noi non potessimo
proprio farci niente.
Bruno Magnolfi
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