mercoledì 2 ottobre 2024

Ombra tra tante.


            Le ombre vivono ormai di vita propria. Si lasciano proiettare dalla luce debole e fioca della lampada di una stanza o di un corridoio, strisciando lungo le pareti o sui pavimenti; ma non disdegnano neppure di farsi vedere anche all’aperto, su un marciapiede stretto oppure lungo un muro di vecchie pietre irregolari, usufruendo per esistere della luce quasi orizzontale al termine di una giornata, apparendo talvolta ancora nette, dettagliate, dai contorni definiti. Sono sagome di personaggi ben riconoscibili, individui forse rimasti incastrati senza volerlo dentro una realtà oscura e parallela, che appaiono irregolarmente, di rado, ed ogni tanto dando prova di sé, di ciò che sono stati, della loro trascorsa concretezza, per scomparire magari poco dopo al primo angolo di una parete, oppure all’abbassarsi d’intensità anche dell’ultimo barbaglio di chiarore ormai appena sufficiente per l’illuminazione. Mi fermo ad osservarli sempre con grande attenzione, quasi nell’intento di scoprire qualcosa di nuovo da quel loro passaggio, anche se avverto con certezza che ogni ulteriore meditazione su tutto ciò che è stato potrà soltanto portare qualsiasi verità maggiormente fuori strada da ciò che era. La mia solitudine pare aggravarsi in certi momenti, ed oramai attendo spesso con ansia la visita a tarda ora di questa donna che si spinge fino all’albergo, dove lavoro come portiere di notte, giusto per prendersi un caffè in mia compagnia, e trascorrere qualche minuto insieme a me. Non so neppure più se lei sia veramente Marta, la versione attempata della mia amica ragazzina di quando ero piccolo, o se è soltanto l’interpretazione aggiornata di una donna a cui la vita ha regalato soltanto ansie e sofferenza, e in ogni caso mi piace ritrovarla ogni volta esattamente così com’è, con quei silenzi che avanza, intrisi di esperienza e di coraggio.  

            Ritengo di non essere riuscito, in tutti questi anni di sbagli e di tentativi falliti, a combinare niente di particolarmente edificante, e mi cruccio certe volte nel pensare che poco per volta si stanno chiudendo per me tutte le possibilità di provare un minimo di soddisfazione dal mio stato di cose. Però mi accetto, anche così come sono, e forse persino Marta in questo mi sostiene. <<Sono tornata>>, mi dice lei certe volte quando si fa vedere, lasciando a queste parole tutte le implicazioni che posso riuscire a immaginare. <<Anche questa giornata si avvia a chiudersi come molte altre, con un niente di fatto>>, mi spiega; ed io annuisco, perché so bene cosa significa essere coscienti di tutto questo senso di incapacità. Non si trattiene molto, generalmente solo il tempo sufficiente per lasciare un’impronta di sé nel mio starmene da solo, ed andandosene all’improvviso dice soltanto: <<ti lascio di nuovo nelle mani delle tue ombre>>, e a me sembra comunque di averla ancora vicina, anche quando ormai se n’è andata chissà dove. Le ombre forse sorridono in questi casi, elaborando probabilmente qualche commento sprezzante sui mei modi di fare, eppoi riprendono poco per volta i propri colori naturali, ed alla fine mi pongono degli interrogativi, spesso formulando proprio quelle domande a cui cerco per tutta la giornata di sfuggire.

            Riconosco i ragazzi della scuola, il pesce che catturai al laghetto, mia madre china sul cucito, forse anche mio padre, e poi il custode della scuola, e l’insegnante che mostrava qualche volta di volermi bene, nel tentativo di aiutarmi a diventare più socievole, in grado di stare insieme a quei compagni che sembravano da me sempre lontani mille miglia. Certo, potrei essere stato diverso in quei periodi, e tutto avrebbe assunto probabilmente un altro spessore, un’altra importanza, e con un piccolo sforzo avrei potuto sconfiggere la solitudine che in seguito mi ha sempre attanagliato. E forse anche con Marta avrei potuto stare più vicino a lei, darle degli appuntamenti, uscire in due nei pomeriggi vuoti, almeno fino a quando tutto questo si fosse dimostrato ciò che davvero volevamo l’uno dall’altra. Invece mi scorrono davanti agli occhi solo le fisionomie di ciò che avremmo potuto essere, e forse questo è un ulteriore rammarico che si mescola a tutta l’amarezza che ancora provo.

            Mi piazzo poi dietro al bancone del ricevimento a scorrere i nomi degli ospiti di questa notte nel nostro albergo, e d’improvviso sento bussare leggermente alla porta vetrata dell’ingresso. È Marta, è tornata indietro per dirmi qualche cosa, penso, per farmi presente magari che non tornerà mai più a trovarmi da ora in avanti, o forse per spiegare qualcosa che probabilmente mi è sfuggito, non saprei. L’osservo per un lungo momento, quindi mi sposto dal bancone, aziono l’apertura automatica della porta, ed intanto esco dalla mia postazione, attraverso il vasto ingresso, vado verso di lei, l’accolgo ancora, come sempre, come non mi stancherò sicuramente mai di fare, e mi avvicino a Marta con lentezza ma risolutamente, fino a giungerle davanti, con lo sguardo pronto a comprendere cosa può essere stato a farla tornare verso me, ma lei si avvicina solo quanto basta, e poi congiunge le sue labbra sulle mie, lasciandomi stupito, proprio nel momento in cui mi accorgo che anche lei sicuramente è soltanto un’ombra tra le tante.

 

            Bruno Magnolfi

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