Ricordo
precisamente, nel periodo in cui fui arrestato e gettato in galera dopo un breve
processo per direttissima, che mi imposi, per tutto il periodo di tempo in cui rimasi
rinchiuso, di non parlare mai con nessuno degli altri carcerati, e tutti loro,
devo dire, rispettarono quasi sempre il mio silenzio. Trascorse così più di un
anno, ed il mio comportamento fu giudicato dai secondini come una “buona
condotta”, tanto che per questo motivo il giudice decise che potevo anche essere
messo agli arresti domiciliari per il resto della pena. Mio padre in tutto quel
tempo era venuto a parlarmi una sola volta, all’improvviso, forse soltanto per
vedere se stavo ancora bene in salute, o per togliersi di dosso il peso di un comportamento
da cattivo genitore che non desiderava sopportare, e così, per la mia
scarcerazione, gli venne chiesto dalle autorità di accogliermi in casa sua,
visto che a quel punto io non avrei saputo dove altro andare. Lui non si
oppose, anche perché, da quando era morta la mamma, sapevo che trascorreva
pochissimo tempo nella propria abitazione, restando in giro all’estero per delle
intere settimane con il suo autotreno, ma quando giunsi nell’appartamento mi intimò
con voce decisa di non fargli avere nuovi guai. Trascorsero diversi mesi durante
i quali lo vidi soltanto due o tre volte, ed alla fine, quando terminai di
scontare la mia pena, la prima cosa che feci fu di trovarmi un qualsiasi lavoro
da manovale, ed affittare due stanze dove andare ad abitare per conto proprio.
Mi sentivo
depresso, in quel periodo, immaginavo che per me si fossero ormai chiuse tutte
le possibilità, ma in seguito ebbi la fortuna di parlare in un locale con un
tizio che lavorava come facchino in un albergo, che tra le altre cose accennò
anche al fatto che i suoi titolari stavano cercando a breve un portiere di
notte. Avevo imparato qualche parola di tedesco e anche di inglese, tramite mio
padre che fin da quando ero piccolo aveva sempre sostenuto quanto fossero
importanti le lingue a suo parere, e così al colloquio che seguì non ebbi
troppi problemi nel mostrare le mie pur traballanti capacità. La mia fedina
penale era macchiata, questo è vero, ma loro, forse anche perché non riuscivano
a trovare nessuno disposto a svolgere un mestiere in orario notturno, non avanzarono
alcun problema, sapendo perfettamente comunque quanto fossi tenuto d’occhio
dalle autorità.
Inizialmente
mi parve di avere avuto bel un colpo di fortuna, ma dopo un certo tempo, una
volta acquisite le giuste competenze ed anche il ritmo che serve per svolgere adeguatamente
questo mestiere, cominciai a sentire un distacco ancora più forte nei confronti
della gente che incontravo a volte lungo le scale del mio condominio, oppure nei
negozi vicino casa dove acquistavo ciò che mi serviva. Una separazione definitiva
da tutti, ecco quanto emerse in poco tempo, ma in ogni caso nello scorrere dei
mesi cominciai presto ad abituarmi, lasciando che le mie giornate fossero
definite da quanto mi era stato riservato in sorte. Oggi mi sento ancora così,
ma non faccio ormai più caso a niente, lasciando scivolare via le ore della
notte mentre elaboro alcuni dei miei pensieri, e lasciandomi andare ad una serie
di abitudini, durante tutto il resto della giornata, date dagli orari
strampalati, dormendo ogni mattina per intero e dedicandomi a qualche
passeggiata al pomeriggio. Non so cosa mi manchi, forse ho imparato con il
tempo a non chiedermelo neppure più, in ogni caso credo che anche questa sia
una forma di sopravvivenza come tante, e non tendo quasi mai a lamentarmene,
neppure col cameriere del caffè dove spesso mi fermo la sera, prima di prendere
servizio.
Marta in
tutto questo è soltanto una meteora che giunge quando vuole senza alcun
preavviso, ed anche la sua breve presenza sul mio luogo di lavoro tendo a farla
diventare immediatamente un’abitudine come tante altre. Non voglio
assolutamente contare su di lei per riempire qualcosa del vuoto che ho provato
e provo da sempre, e per questo motivo lascio che anche lei scorra come tutto
il resto, senza attendermi mai qualcosa di diverso. Forse questo è un errore,
mi dico a volte: potrei cercare la forma per incontrarla in altri momenti, in
condizioni differenti, quando tutt’e due magari ci sentiamo meno ingessati nei
nostri strani ruoli che affiorano evidenti durante le notti. Poi sorrido tra
me: non ci potrà mai essere qualcosa di diverso tra noi due: troppo abituati come
siamo, ognuno separatamente, alla propria solitudine. Di sicuro siamo delle
strane personalità, figure poco ordinarie abituate a soffrire di qualcosa senza
neppure sapere bene che cosa possa essere, ma appare quasi impossibile cercare
di variare anche soltanto qualcosa nei nostri comportamenti già così assodati. La
guardo, a volte, e mi pare addirittura che possa essere lei la persona che
avrei sempre desiderato avere accanto; ma poi attendo come sempre che vada via,
per la sua strada, e che lasci in aria vicino a me qualcosa che sembra del
tutto inestinguibile.
Bruno
Magnolfi
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