venerdì 4 ottobre 2024

Presenza inestinguibile.


            Ricordo precisamente, nel periodo in cui fui arrestato e gettato in galera dopo un breve processo per direttissima, che mi imposi, per tutto il periodo di tempo in cui rimasi rinchiuso, di non parlare mai con nessuno degli altri carcerati, e tutti loro, devo dire, rispettarono quasi sempre il mio silenzio. Trascorse così più di un anno, ed il mio comportamento fu giudicato dai secondini come una “buona condotta”, tanto che per questo motivo il giudice decise che potevo anche essere messo agli arresti domiciliari per il resto della pena. Mio padre in tutto quel tempo era venuto a parlarmi una sola volta, all’improvviso, forse soltanto per vedere se stavo ancora bene in salute, o per togliersi di dosso il peso di un comportamento da cattivo genitore che non desiderava sopportare, e così, per la mia scarcerazione, gli venne chiesto dalle autorità di accogliermi in casa sua, visto che a quel punto io non avrei saputo dove altro andare. Lui non si oppose, anche perché, da quando era morta la mamma, sapevo che trascorreva pochissimo tempo nella propria abitazione, restando in giro all’estero per delle intere settimane con il suo autotreno, ma quando giunsi nell’appartamento mi intimò con voce decisa di non fargli avere nuovi guai. Trascorsero diversi mesi durante i quali lo vidi soltanto due o tre volte, ed alla fine, quando terminai di scontare la mia pena, la prima cosa che feci fu di trovarmi un qualsiasi lavoro da manovale, ed affittare due stanze dove andare ad abitare per conto proprio.

            Mi sentivo depresso, in quel periodo, immaginavo che per me si fossero ormai chiuse tutte le possibilità, ma in seguito ebbi la fortuna di parlare in un locale con un tizio che lavorava come facchino in un albergo, che tra le altre cose accennò anche al fatto che i suoi titolari stavano cercando a breve un portiere di notte. Avevo imparato qualche parola di tedesco e anche di inglese, tramite mio padre che fin da quando ero piccolo aveva sempre sostenuto quanto fossero importanti le lingue a suo parere, e così al colloquio che seguì non ebbi troppi problemi nel mostrare le mie pur traballanti capacità. La mia fedina penale era macchiata, questo è vero, ma loro, forse anche perché non riuscivano a trovare nessuno disposto a svolgere un mestiere in orario notturno, non avanzarono alcun problema, sapendo perfettamente comunque quanto fossi tenuto d’occhio dalle autorità.

            Inizialmente mi parve di avere avuto bel un colpo di fortuna, ma dopo un certo tempo, una volta acquisite le giuste competenze ed anche il ritmo che serve per svolgere adeguatamente questo mestiere, cominciai a sentire un distacco ancora più forte nei confronti della gente che incontravo a volte lungo le scale del mio condominio, oppure nei negozi vicino casa dove acquistavo ciò che mi serviva. Una separazione definitiva da tutti, ecco quanto emerse in poco tempo, ma in ogni caso nello scorrere dei mesi cominciai presto ad abituarmi, lasciando che le mie giornate fossero definite da quanto mi era stato riservato in sorte. Oggi mi sento ancora così, ma non faccio ormai più caso a niente, lasciando scivolare via le ore della notte mentre elaboro alcuni dei miei pensieri, e lasciandomi andare ad una serie di abitudini, durante tutto il resto della giornata, date dagli orari strampalati, dormendo ogni mattina per intero e dedicandomi a qualche passeggiata al pomeriggio. Non so cosa mi manchi, forse ho imparato con il tempo a non chiedermelo neppure più, in ogni caso credo che anche questa sia una forma di sopravvivenza come tante, e non tendo quasi mai a lamentarmene, neppure col cameriere del caffè dove spesso mi fermo la sera, prima di prendere servizio.

            Marta in tutto questo è soltanto una meteora che giunge quando vuole senza alcun preavviso, ed anche la sua breve presenza sul mio luogo di lavoro tendo a farla diventare immediatamente un’abitudine come tante altre. Non voglio assolutamente contare su di lei per riempire qualcosa del vuoto che ho provato e provo da sempre, e per questo motivo lascio che anche lei scorra come tutto il resto, senza attendermi mai qualcosa di diverso. Forse questo è un errore, mi dico a volte: potrei cercare la forma per incontrarla in altri momenti, in condizioni differenti, quando tutt’e due magari ci sentiamo meno ingessati nei nostri strani ruoli che affiorano evidenti durante le notti. Poi sorrido tra me: non ci potrà mai essere qualcosa di diverso tra noi due: troppo abituati come siamo, ognuno separatamente, alla propria solitudine. Di sicuro siamo delle strane personalità, figure poco ordinarie abituate a soffrire di qualcosa senza neppure sapere bene che cosa possa essere, ma appare quasi impossibile cercare di variare anche soltanto qualcosa nei nostri comportamenti già così assodati. La guardo, a volte, e mi pare addirittura che possa essere lei la persona che avrei sempre desiderato avere accanto; ma poi attendo come sempre che vada via, per la sua strada, e che lasci in aria vicino a me qualcosa che sembra del tutto inestinguibile.

 

            Bruno Magnolfi   

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