Sono sempre
state dentro di me, le ombre, adesso ne sono più che sicuro, ed hanno percorso autonomamente
tutto questo tempo, da quando ero un bambino introverso che frequentava la
scuola elementare di via delle Matite, fino ad adesso che ho superato ormai da
un pezzo la mezza età, e faccio i conti con quello che sono diventato, senza quasi
chiedermi più niente. Mi hanno sempre accompagnato, senza che io ne avessi neppure
troppa consapevolezza, come se fossero una parte di me, ma anche restando allo
stesso tempo delle figure a me completamente estranee, proprio come avviene
spesso con i ritagli casuali della memoria di chiunque. Forse, certe volte, le
ho addirittura evocate, mi sono lasciato cullare dalla loro presenza, oppure le
ho scacciate come entità a me proprio sgradite, ma in ogni caso non posso certo
dire che non mi siano state sempre accanto, come un bagaglio personale e intimo
a cui è impossibile rinunciare. Forse è stata Marta all’improvviso a dare un
senso ai miei ricordi. E con lei le ombre hanno ripreso a muoversi continuamente,
proponendo nuovi punti di vista, nuove consapevolezze, e forse anche qualche smentita
clamorosa delle mie vaghe convinzioni. In questo momento è a lei che sento di
dovermi riferire, magari per trovare il bandolo di questa matassa che non
sembra facilmente districabile.
So dove
abita, lo ricordo bene, perciò in questa strana giornata, dopo aver dormito
come sempre per l’intera mattina fino a tardi, dopo una notte di lavoro come
portiere d’albergo, indosso rapidamente i miei vestiti di sempre, e poi esco a
piedi, determinato ad andare fino a casa sua. Salgo le scale, busso alla porta,
e lei mi apre, quasi non stesse aspettando nessun altro che me. Non dice
niente, Marta, mi lascia entrare, mi offre due dita di vino rosso in un calice
di vetro, e mi invita con un gesto a sedermi, forse affinché io possa esprimere
con semplicità le mie convinzioni. Ma restiamo in silenzio, senza provare nessuno
dei due la necessità di parlare. Stiamo così, per qualche minuto, fino a quando
non mi rendo conto che la mia visita è insensata, non porta proprio a niente, perché
sto soltanto perdendo del tempo, e Marta insieme a me. Così appoggio il
bicchiere, mi alzo e vado verso la porta, disposto quasi ad andarmene senza
neppure salutare, ma lei mi accompagna, come per una forma di ordinaria
cortesia, e quando mi apre l’uscio dice soltanto: <<È inutile, le nostre
solitudini non possono trovare un punto d’incontro. Siamo destinati a sfiorarsi,
e dopo basta>>. Annuisco, come sempre, poi prendo le scale mentre lei
chiude la porta alle mie spalle.
Ma mentre scendo lentamente provo distintamente
una maggiore leggerezza di quando sono salito, come se il solo tentativo già mi
avesse messo a posto la coscienza, e non servisse nulla d’altro. Prendo lungo
il marciapiede, mi fermo per fare degli acquisti di cose da mangiare, e infine
giungo a casa mia con una busta piena di generi alimentari, quasi soddisfatto
di quanto mi è accaduto. Abbiamo messo a punto una certezza, io e Marta, e
questo è ciò che ha più importanza di ogni altra sensazione. Dobbiamo accontentarci,
perché è questo che ci è toccato in dote, ed andare avanti in questo modo,
senza tentare mai di sopraffare il nostro destino. Assaporo qualcosa, perdo il
pomeriggio rimescolando i miei oggetti per mettere un po’ d’ordine, e poi mi
cambio, indosso la divisa di portiere di notte, torno ad uscire per fermarmi
nel piccolo locale già nei pressi dell’albergo, dove mi lascio servire un
semplice caffè. Il cameriere mi guarda, forse si aspetta che io confessi
qualche sciocchezza, come spesso capita, invece resto in silenzio, e lui da
professionista navigato non insiste, capisce al volo che non è certo la serata
giusta. Entro in albergo mentre al turno del ricevimento c’è ancora Clara, che
mi guarda, mi dice qualcosa di alcuni clienti, mi indica i nomi dei nuovi
arrivi, e poi di chi domani mattina molto presto dovrà andarsene, con i differenti
orari della sveglia per tutti loro, ma infine rimango solo per qualche momento,
e mi sembra di sentirmi bene, di essere a mio agio.
Scorre come
sempre tutta la serata, con dei clienti che vanno avanti e indietro, fino a
quando l’albergo si inoltra nella notte, e ad un certo punto vedo Marta, di là
dalla grande porta a vetri. Mi avvicino senza aprire, la osservo in silenzio e
lei si lascia guardare mettendosi di fianco, girando su sé stessa, dandomi
anche le spalle per un attimo. Poi ci avviciniamo ancora al vetro, ed
appoggiando le nostre labbra sulla superficie trasparente ci lasciamo andare ad
un lungo bacio, appassionato, irresistibile. Quindi Marta attende ancora un po’
là fuori, nel silenzio della notte, ed io proseguo a restare accanto alla
vetrata. Quindi se ne va, ed io sono convinto adesso che questa sia stata la
più bella storia d’amore che abbia mai vissuto.
Bruno
Magnolfi
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