L’uomo
e la donna avevano fatto all’amore, poi erano rimasti sdraiati sul letto in
silenzio, a godersi la luce del pomeriggio autunnale che penetrava di taglio
dai vetri delle finestre. “Da un po’ di tempo provo un senso di colpa che prima
non avevo nei confronti di Arturo. Non so, non è come una pena, piuttosto mi
sento quasi invidiosa della sua serenità, certe volte vorrei dirgli tutto solo
per vedere quale reazione potrebbe avere…”, disse la donna.
L’uomo si girò
sopra un fianco, si accese con lentezza una delle sue sigarette, poi disse:
“Prendiamoci un po’ di respiro: non salire da me ogni volta che ti è possibile.
Forse ci stiamo vedendo un po’ troppo spesso…”.
Rimasero in silenzio per circa un minuto, poi si sentirono degli
schiamazzi provenienti dalla piazza sotto alle finestre di casa.
“Ti ricordi
quando ci incontravamo lungo le scale, ed io, formalissima, ti dicevo soltanto:
“buonasera”, mentre continuavo a guardare per terra?”. “Certo”, disse lui, “erano
i primi tempi che ero venuto ad abitare in questa mansarda, poco più di tre
anni fa, e a volte mi chiedevo che gente abitasse in tutto il palazzo,
silenziosi, bravi, pieni di assoluto rispetto; mi trovavo quasi a disagio, io
che a volte lavoro ai miei quadri di notte facendo rumore, e poi sono
assolutamente disordinato, conduco una vita piena di sregolatezze, ho i capelli
spesso in disordine, e sopra le mani mi rimangono sempre i colori che adopro”.
“Però ti piacque quando ti chiesi se potevo venire a vedere i dipinti!”.
“Certo. Vedi, fare le mostre in galleria è una cosa diversa, la gente che viene
a guardare i tuoi quadri sa già cosa cerca. Tu invece eri fuori dal coro, e poi
ti avevo osservata, avevi i capelli raccolti in una maniera curiosa, un’espressione
piena di tanta attenzione, insomma, eri decisamente la donna più interessante
che avessi mai visto”. “Lo eri anche tu, interessante, come lo sei anche
adesso…”, disse la donna.
Poi rimasero
nuovamente in silenzio, la piazza rimandava lì in alto diversi rumori confusi,
nella stanza persisteva un certo disordine, e la luce dalle finestre lasciava
lentamente il calore che aveva avuto fino a pochi minuti più indietro, per
assumere tonalità meno decise, più indefinite. L’uomo sembrò interessarsi a
qualcosa in un angolo illuminato dalla luce diretta del sole, poi disse:
“Senti, vorrei che smettessimo di vederci del tutto, avanti che il nostro
vederci diventasse solo una normale abitudine…”. Lei restò immobile nella sua
posizione, forse per qualche minuto, poi disse: “Certo; hai capito benissimo
cosa intendevo. Mi sento stretta dentro a una morsa. Vorrei salire i due piani
di scale e venire da te ogni volta che posso, ma quei gradini mi stanno pesando
sempre di più. Sto bene qui, assieme a te, ma quel senso di peccaminoso e
intrigante che c’era agli inizi si è perso, adesso rimane solo quel comportarsi
con attenzione, in modo che i vicini non si rendano conto di noi…”. “E poi c’è
tuo marito…”, disse lui. “Si, è vero, stiamo assieme da così tanti anni che certe
volte mi pare impossibile che lui non legga la verità dentro di me…”. Poi lui
si sedette sul letto e spense nel posacenere la sua sigaretta finita, infilò le
pantofole e andò nella stanza vicina a riguardare un disegno che aveva fatto al
mattino. Lei si vestì, rimise le scarpe, poi lo raggiunse. “Ciao”, gli disse
con voce soffusa, toccandogli leggermente le spalle, “ma forse dovrei solo
dirti: buonasera…”.
Bruno
Magnolfi
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